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Nel pieno centro storico a Cagliari, nei pressi di Piazza Indipendenza, si cela una delle strutture sotterranee più affascinanti della città, il Pozzo di San Pancrazio.
Un’opera medievale di ingegneria idraulica, dimenticata per decenni. Realizzato probabilmente in epoca pisana, presumibilmente nel 1253, perché un’antica iscrizione documentata dagli archeologi Giuseppe Cossu e Giovanni Spano, ma mai ritrovata, conteneva la scritta “MCCLIII” che si traduce proprio in 1253.
Il pozzo ha rappresentato per secoli una risorsa di vitale importanza per tutti gli abitanti del quartiere Castello. Fonti provenienti dall’epoca aragonese lo descrivevano come fons publicus exhuberans, ovvero fonte abbondante e di fatto lo era. Un vero e proprio polmone idrico, azionato grazie a una pompa idraulica mossa da animali che venivano tenuti in ambienti sotterranei.
Nel 1823, per ragioni igieniche, gli animali e il meccanismo di sollevamento dell’acqua furono interrati, e l’acqua incanalata tramite dei condotti fino a piazza Santa Croce. Il pozzo, gestito da appaltatori che lo affittavano ogni tre anni, riforniva le fontane pubbliche e le cisterne del quartiere. Ma con l'arrivo dell'acquedotto moderno da Sinnai nel 1867, perse progressivamente la sua centralità.
L’ingresso al pozzo è stato chiuso da un tombino situato vicino all’ex Museo Archeologico, e se vi si entra conduce a una lunga galleria di circa 30 metri, qui si divide in un articolato sistema di cunicoli e ambienti voltati che portano fino alla cavità principale. Il pozzo stesso, secondo la tradizione, avrebbe una profondità di “100 trabucchi”(circa 80 metri), ma studi recenti parlano di un dislivello di oltre 77 metri, in parte ancora oggi occupati da acqua.
Oggi il pozzo è chiuso al pubblico, ma resta una testimonianza tangibile della storia idraulica e sociale di Cagliari. Le leggende popolari parlano ancora dei suoni di ruote e zoccoli che si udirebbero da sottoterra. Una suggestione che aggiunge fascino a un monumento dimenticato.