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Una critica che arriva direttamente dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, rivolta al Tribunale di Cagliari sulle pagine del Fatto Quotidiano. Tutto nasce dall’intervento del magistrato Vincenzo Capozza, che ieri aveva sfidato Mantovano a “indicare le decisioni che hanno ritenuto l’uso personale nei casi di detenzione di qualche chilo di sostanza stupefacente”. E aveva aggiunto: “Se tali sentenze esistono, i giudici che le hanno emesse dovrebbero essere perseguiti disciplinarmente”.
La risposta del sottosegretario arriva puntuale e in forma di lettera aperta. “Caro Direttore – scrive Mantovano rivolgendosi a Marco Travaglio – raccolgo l’invito rivoltomi ieri sulle colonne del Suo giornale dal dott. Capozza…”. Il sottosegretario premette di non voler trasformare un quotidiano “in una rassegna di giurisprudenza”, ma accetta comunque la sfida. E, andando a ritroso negli anni e in lungo e in largo per lo Stivale, elenca una serie di decisioni che – a suo avviso – mostrerebbero quanto una parte della magistratura sottovaluti la gravità del fenomeno stupefacenti.
La prima sentenza citata è quella che riguarda proprio la Sardegna: il 14 marzo 2025 il Tribunale di Cagliari ha assolto T.K. e S.J., arrestati con 3,975 kg di marijuana al 15,9% di THC, una quantità che per il perito sarebbe sufficiente a confezionare oltre 22mila dosi. Per i giudici, però, non vi sarebbe stata prova che lo stupefacente fosse destinato alla cessione a terzi.
Ma l’elenco continua. Il 15 novembre 2024, ricostruisce ancora Mantovano, il Tribunale di Siracusa assolve un imputato trovato con dosi equivalenti a quasi mille unità di hashish e quasi quattrocento di marijuana, ritenendo il tutto destinato all’uso personale. Nel 2023 a Cassino un altro imputato viene assolto nonostante il possesso di oltre mezzo chilo complessivo di marijuana. Nel 2022 la Corte d’Appello di Milano prende una decisione analoga per circa 350 grammi di erba; nel 2021 è il Tribunale di Firenze a dichiarare l’uso personale per 450 grammi; e sempre a Firenze, nel 2016, arriva persino l’assoluzione per quasi 600 grammi di cocaina sulla base della “benestanza” dell’imputato, ritenuto in grado di procurarsi quella quantità solo per sé. Si arriva poi a Roma, nel 2015, con un imputato trovato in possesso di cocaina per 300 dosi, e infine alla Corte d’Appello di Bari nel 2005, che assolve un uomo rientrato dalla Colombia con 1,62 kg di cocaina, sempre giudicati per uso personale.
È questa sequenza di provvedimenti, scrive Mantovano, a dimostrare “che certi atteggiamenti giudiziari non sarebbero affatto rari o isolati“. E allarga il ragionamento: “Decisioni del genere – osserva – si sommano a pronunce della Cassazione che impongono all’accusa l’onere della prova della destinazione allo spaccio anche per quantità ingenti, e che escludono la punibilità per la detenzione destinata al consumo di gruppo”. Un impianto interpretativo che, secondo il sottosegretario, finirebbe per “favorire la diffusione e lo spaccio di stupefacenti”.
Non entra nel merito delle eventuali responsabilità disciplinari, che “non gli competono”, ma solleva un problema culturale prima ancora che giuridico: “Vi è un’inadeguata percezione della gravità del fenomeno”, sostiene. E per dimostrarlo porta un ulteriore esempio: i tempi profondamente disomogenei con cui i Tribunali di sorveglianza rispondono alle richieste dei detenuti tossicodipendenti che chiedono di intraprendere un percorso di recupero in comunità. In alcuni casi la risposta arriva in un mese; in altri, anche dopo un anno. Ed è qui che Mantovano introduce la sua espressione polemica: “È questo il senso del ‘federalismo della giustizia’”.








