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Il 10 giugno 1981, alle ore 19, ebbe inizio la frenetica corsa contro il tempo per cercare di salvare Alfredo Rampi, conosciuto da tutti come Alfredino, il bambino di sei anni caduto in un pozzo artesiano a via Sant'Ireneo, nella località Selvotta, frazione di Frascati lungo la via di Vermicino, che collega via Casilina a via Tuscolana. Una tragedia che, anche a distanza di 44 anni, gli italiani non hanno dimenticato.
Il pozzo aveva un'apertura di soli 28 centimetri e Alfredino precipitò prima a 36 metri di profondità, per poi finire a 60 metri sotto terra.
LA TRAGEDIA Il piccolo Alfredino si trovava insieme ai suoi genitori, Nando Rampi e Franca Bizzarri, e al fratellino Riccardo, nella loro casa di campagna vicino a Frascati. Durante la serata del mercoledì 10 giugno, Ferdinando Rampi stava passeggiando con due amici e il figlio Alfredino nei dintorni della campagna. A un certo punto, alle 19:20, Alfredino chiese al padre se poteva tornare da solo a casa attraverso i campi, e Ferdinando acconsentì. Tuttavia, quando Ferdinando arrivò a casa intorno alle 20, si rese conto che il bambino non era mai arrivato. Dopo circa trenta minuti, i genitori iniziarono a cercare Alfredino nei dintorni e, non trovandolo, intorno alle 21:30 contattarono le autorità. Polizia, Vigili urbani e Vigili del fuoco arrivarono rapidamente sul posto, insieme a vari residenti locali richiamati dalla situazione. Cominciarono subito le prime ricerche. La nonna paterna, Veja, fu la prima a suggerire che Alfredino potesse essere caduto in un pozzo appena scavato in un terreno vicino, dove si stava costruendo una nuova casa. Tuttavia, il pozzo era coperto da una lamiera tenuta ferma da alcuni massi. Nonostante ciò, un agente di polizia decise di esaminare la cavità e, dopo aver rimosso la lamiera, sporse la testa all'interno e riuscì a udire i deboli lamenti di Alfredino. Si scoprì in seguito che il proprietario del terreno aveva coperto il pozzo con la lamiera verso le 21, senza sapere che il bambino fosse rimasto intrappolato all'interno.
I SOCCORSI. I soccorritori si sono riuniti all'imboccatura del pozzo, abbassando una lampada per cercare di individuare la posizione del bambino. È emerso che il bambino era intrappolato a 36 metri di profondità, fermato dalla curva o dal rientro del cunicolo. Le operazioni di salvataggio sono state subito complesse a causa delle dimensioni strette dell'imboccatura, della profondità di 80 metri e delle pareti irregolari e frastagliate del pozzo. Poiché non era possibile far scendere una persona nel pozzo, il primo tentativo di soccorso ha consistito nel far scendere una tavoletta legata a delle corde per consentire al bambino di aggrapparvisi e sollevarlo. Purtroppo, la tavoletta è rimasta bloccata a 24 metri e non è stata possibile rimuoverla, ostruendo parzialmente il condotto. Un'elettrosonda è stata calata nel pozzo per consentire ai soccorritori di comunicare con il bambino, che inizialmente rispondeva lucidamente. È stata pensata la realizzazione di un tunnel parallelo al pozzo per raggiungere il bambino da sotto. Tuttavia, si è resa necessaria una sonda di perforazione, che è stata reperita alle prime luci del giorno successivo. Un gruppo di giovani speleologi del Soccorso Alpino si è offerto come volontario per calarsi nel pozzo, guidati da Tullio Bernabei. Dopo vari tentativi, non è stato possibile raggiungere il bambino a causa dei restringimenti del pozzo. Si è deciso di sospendere le discese e concentrarsi sulla perforazione del tunnel parallelo. Mentre la perforazione proseguiva, si è avuto l'apporto di una geologa che ha consigliato di continuare anche con gli altri tentativi. Nonostante ciò, il comandante dei Vigili del Fuoco ha ordinato di non effettuare ulteriori discese. Dopo varie ore di lavoro, si è riusciti a creare un collegamento tra i due pozzi, ma il bambino non era lì. Si è supposto che, a causa delle vibrazioni causate dalla perforazione, fosse scivolato a una profondità maggiore. L'unica soluzione possibile era la discesa di un volontario nel pozzo. Dopo vari tentativi, Angelo Licheri si è offerto volontario per scendere per tutti i 60 metri di profondità. Nonostante le difficoltà e le ferite riportate nel tentativo di raggiungere il bambino, Licheri non è riuscito a liberarlo completamente a causa delle condizioni precarie in cui si trovava. Dopo aver tentato per diverso tempo di salvarlo, ha dovuto rinunciare e tornare in superficie, coperto di fango e ferite, per essere trasportato d'urgenza in ospedale.
LA MORTE. Intorno alle 5 del mattino è iniziato il tentativo di salvataggio da parte di un altro speleologo, Donato Caruso, 22enne abruzzese. Dopo aver raggiunto il bambino, Caruso ha cercato di imbracarlo, ma le cinghie psichiatriche che aveva utilizzato come corda si sono allentate al primo tentativo. Nonostante vari sforzi con delle manette, alla fine è tornato in superficie senza il bambino, temendo la sua morte. Verso le 9 del 13 giugno, un medico ha calato uno stetoscopio nel pozzo per ascoltare il battito cardiaco del piccolo, ma non ha rilevato alcun segnale. Nel pomeriggio, una telecamera fornita da tecnici della Rai è stata calata a circa 55 metri di profondità, dove ha individuato il corpo immobile di Alfredino, privo di segni di vita. Dichiarata la presunta morte, il magistrato ha ordinato di conservare il corpo immerso in gas refrigerante nel pozzo. Il cadavere è stato recuperato da tre squadre di minatori della miniera di Gavorrano il 11 luglio successivo, 28 giorni dopo la tragedia.
CONSEGUENZE.I funerali di Alfredino Rampi si tennero il 15 luglio 1981 presso la Basilica di San Lorenzo fuori le mura, con la salma trasportata dai volontari che avevano cercato di salvarlo, tra cui Angelo Licheri e Donato Caruso. Il piccolo Alfredino è sepolto nel Cimitero del Verano di Roma accanto al fratello Riccardo, scomparso nel 2015 a causa di un infarto. La tragica vicenda di Alfredino Rampi rimane uno dei casi più noti nella storia italiana, evidenziando la necessità di una migliore organizzazione dei soccorsi in situazioni di emergenza. Questa mancanza di coordinamento ha portato alla creazione del Dipartimento della protezione civile, inizialmente solo un progetto sulla carta ma successivamente divenuto reale per far fronte a simili situazioni.