Settima notte passata tra freddo pungente, pioggia e vento a quaranta metri d’altezza sul silo numero 3 dello stabilimento Eurallumina di Portovesme. I quattro operai che da una settimana vivono sospesi tra cielo e acciaio continuano a chiedere al governo certezze sul futuro dell’impianto di allumina, primo anello della filiera dell’alluminio italiano. Da giorni dormono all’addiaccio, determinati a non scendere finché non arriveranno risposte chiare sull’incontro fissato per il 10 dicembre. “Non può essere interlocutorio”, ribadiscono.

Tra le principali preoccupazioni c’è il nodo delle bonifiche ambientali: un tema che, spiegano, non può essere messo in pausa. “Sul sito di stoccaggio dei residui e sull’impianto di trattamento delle acque si lavora ancora – ricorda Enrico Pulisci, Rsa Eurallumina – Si estraggono 50 metri cubi all’ora. Il ministero dell’Ambiente con Pichetto Fratin, il Mef e il Mimit devono garantire continuità operativa alle bonifiche. Noi restiamo qui: il presidio continua e così la lotta. Attendiamo risposte concrete per il 10 dicembre. Non ci fermiamo”.

La vertenza si intreccia con il blocco degli asset finanziari della UC Rusal, la multinazionale russa che controlla lo stabilimento. Le sanzioni Ue contro Mosca hanno portato alla supervisione dei conti da parte del Comitato di sorveglianza finanziaria del Mef, congelando di fatto le disponibilità economiche.

All’inizio del mese la stessa azienda ha comunicato ai sindacati che le risorse rimaste consentono di garantire la gestione ordinaria — comprese le bonifiche — soltanto fino al 31 dicembre 2025.

Una corsa contro il tempo, dunque, per salvaguardare 300 milioni di investimenti programmati e circa 1.500 stipendi tra diretti e indiretti. Sullo sfondo, la sorte di una delle realtà industriali cardine del Sulcis, sospesa come gli operai che vegliano dall’alto del silo.