Quattro milioni di italiani, pari al 7% della popolazione, rinunciano a usufruire delle prestazioni sanitarie nel 2024 a causa delle lunghe attese. Questo è il dato principale emerso da un'analisi indipendente condotta dalla Fondazione Gimbe sullo stato di attuazione della norma, con l'obiettivo, spiega il suo presidente Nino Cartabelotta, "di informare in maniera costruttiva il dibattito pubblico e politico e di ridurre le aspettative irrealistiche dei cittadini, sempre più intrappolati nella rete delle liste di attesa. Tracciando un confine netto tra realtà e propaganda".

La percentuale di individui che hanno rinunciato alle cure mediche a causa delle lunghe liste d'attesa, secondo i dati riferiti, è in costante aumento. Nel 2022, il 4,2% della popolazione (equivalente a 2,5 milioni di persone) ha dovuto rinunciare, un numero che è salito al 4,5% nel 2023 (2,7 milioni), per poi raggiungere il picco del 6,8% nel 2024 (4 milioni). Parallelamente, le sfide economiche continuano a rappresentare un ostacolo significativo: la percentuale di coloro che rinunciano alle cure per motivi finanziari è passata dal 3,2% nel 2022 (pari a 1,9 milioni di individui) al 4,2% nel 2023 (2,5 milioni) e infine al 5,3% nel 2024 (3,1 milioni).

"Se tra il 2022 e il 2023 l'aumento della rinuncia alle prestazioni era dovuto soprattutto a motivazioni economiche - spiega il presidente della Fondazione Gimbe - tra il 2023 e il 2024 l'impennata è stata trainata in larga misura dalle lunghe liste di attesa". E i dati lo confermano: le rinunce legate ai tempi d'attesa sono cresciute del 7,1% tra il 2022 e il 2023, e del 51% tra il 2023 e il 2024; quelle per ragioni economiche, invece, sono aumentate del 31,2% tra 2022 e 2023 e del 26,1% tra 2023 e 2024.

"Negli ultimi due anni - commenta Cartabellotta - il fenomeno della rinuncia alle prestazioni non solo è cresciuto, ma coinvolge l'intero Paese, incluse le fasce di popolazione che prima della pandemia si trovavano in una posizione di 'vantaggio relativo', come i residenti al Nord e le persone con un livello di istruzione più elevato. Il vero problema - osserva - non è più, o almeno non è soltanto, il portafoglio dei cittadini, ma la capacità del Ssn di garantire le prestazioni in tempi compatibili con i bisogni di salute".