Cagliari

“Io, soccorritrice del 118 ai tempi del Covid-19: il momento peggiore? La notte, quando si concentrano tutti i sentimenti di un’intera giornata”

Ha 43 anni, indossa ogni giorno la divisa e lavora per il 118

“Io, soccorritrice del 118 ai tempi del Covid-19: il momento peggiore? La notte, quando si concentrano tutti i sentimenti di un’intera giornata”

Di: Alessandro Congia


“Togli il pigiama metti la divisa, togli la divisa metti il pigiama.
Non è importante il mio nome, sono una soccorritrice, una di quelle persone che ogni giorno  indossa quella bella divisa arancione  che in alcuni casi può essere anche gialla o celeste”.

Davanti al taccuino del cronista mostra un velato sorriso, che in sé è ‘impastato’ tra stanchezza, paura, stress, stati d’animo mischiati all’adrenalina che si ha in corpo, comune un pò a chiunque, soprattutto in questo periodo emergenziale, svolge questo delicatissimo ed importante lavoro. Gli ospedali li conosce tutti, dal Santissima Trinità, Brotzu, Marino o Policlinico, giusto per citarne alcuni, lei ha con un cuore grande, un pizzico di coraggio in più e vestita in arancione.

Non le chiediamo ripetutamente il nome volutamente, preferisce non apparire con nome e cognome perché non vogliono definirsi ne eroi e forse nemmeno guerrieri, ma persone che addosso hanno un gravoso carico di responsabilità: “Sono le 6 del mattino, è ora di alzarsi: togliamo il pigiama e mettiamo la divisa. Questi scudi – dice la 43enne cagliaritana - che quotidianamente indossiamo ne hanno visto di  tutti i colori, ma ci sta, siamo preparati all'emergenza. Viviamo di schemi e azioni da compiere e lo facciamo bene. Ci hanno formato. Questa volta, pero’, non è cosi, non siamo preparati.
La paura ci accompagna dall'inizio alla fine dell'intervento e sopratutto al termine ci troviamo  a ripercorrere mentalmente tutte le fasi cercando di capire se sia stato fatto tutto giusto nella speranza di non essere stati contagiati.
I momenti in sede in attesa delle chiamate non sono più gli stessi. Dobbiamo mantenere le distanze e indossare sempre le mascherine che sono snervanti, non si respira bene, sembra manchi l'aria.  Allora stiamo zitti. Qualcosa è cambiato lo dicono gli sguardi. Che non sono più quelli di qualche settimana fa.
Parte fondamentale la fanno i messaggi che ci scambiamo tra noi soccorritori, dove ci si spoglia un poò delle paure che condividiamo e, forse, sono i  più veri che abbia mai letto. Per non parlare dei messaggi che riceviamo dalla famiglia e dagli amici – dice la donna - sono la carica. Finito il turno si torna a casa, iniziamo a svestirci prima di entrare, fuori gli scarponi e dritti verso la doccia. Togliamo divisa e mettiamo pigiama. Siamo di nuovo al sicuro ma soli.
Molti di noi si sono allontanati dalle famiglie per proteggerli. Un collega proprio oggi mi ha scritto di aver insegnato alla madre come medicarsi da sola: prima se ne occupava lui. Io non vedo il mio bambino da tre settimane, il silenzio a  casa mia è assordante. Anche  l'ordine sta iniziando a darmi fastidio.
Sai qual è il momento peggiore? La notte – dice la soccorritrice - prima di dormire. È qui che si concentrano tutti i sentimenti, nostalgia della famiglia paura e consapevolezza. Ma sono di nuovo le 6, è ora di alzarsi. Ora di togliere il pigiama e di mettersi la divisa e di raggiungere i miei colleghi grazie ai quali non sarebbe possibile reggere: grazie a Stefania, Chiara, Manuela, Bruno, Monica, Massimiliano, Gege, Saverio, Valentina e tanti tanti altri".

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