Roma

Da De Nicola a Mattarella, storia dei dodici inquilini del Quirinale

Oggi prenderanno il via le votazioni per l'elezione del successore di Mattarella, ripercorriamo la storia della presidenza della Repubblica italiana

Da De Nicola a Mattarella, storia dei dodici inquilini del Quirinale

Di: Pietro Lavena


Oggi, lunedì 24 gennaio, prenderanno il via le votazioni per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Un evento quanto mai atteso, non solo per il peso politico del Capo dello Stato, ma anche per l’importanza rivestita dal successore di Sergio Mattarella in un frangente così delicato come quello che sta vivendo il Paese alle prese con l’emergenza sanitaria.

Mentre retroscena, analisi, previsioni, rumors, calcoli e strategie di palazzo impazzano alimentando i dibattiti nei talk show, vogliamo ripercorrere insieme a voi la storia della presidenza della Repubblica italiana, rievocando le figure dei dodici inquilini del Quirinale che si sono succeduti in oltre settant’anni di storia repubblicana. Personalità di altissimo spessore che hanno rivestito l’ambita carica di garanzia costituzionale e rappresentanza politica.

Enrico De Nicola con i giornalisti al Quirinale

Enrico De Nicola (1 gennaio 1948-12 maggio 1948)

Nato a Napoli nel 1877, fu deputato e senatore del Regno d'Italia. Morì a Roma nel 1959. Formatosi politicamente in area giolittiana, fu deputato e senatore del Regno d'Italia divenendo presidente della Camera nel 1920. Primo presidente della Repubblica, fu eletto Capo provvisorio dello Stato il 28 giugno 1946 dall’Assemblea Costituente. Con l’entrata in vigore della Costituzione, il 1° gennaio 1948, conservò la carica.

Da presidente, nominò Alcide De Gasperi capo del governo. A ridosso della prima elezione parlamentare del presidente della Repubblica, in programma nel maggio 1948, De Nicola fece sapere di desiderare una conferma, ma al quarto scrutinio gli fu preferito il liberale Luigi Einaudi. De Nicola, quindi, si ritirò dalla corsa. Successivamente venne eletto presidente del Senato. Il 1° ottobre 1959 morì a Torre del Greco a 81 anni.

Luigi Einaudi in compagnia della moglie Ida

 Luigi Einaudi (1948-1955)

Già governatore della Banca d'Italia tra il 1945 e il 1948, venne eletto al quarto scrutinio con 518 voti su 872 (59,4%) divenendo il primo presidente eletto dal Parlamento repubblicano.

Piemontese (originario della provincia di Cuneo), cattolico, membro dell’Assemblea Costituente, economista di idee liberali, è ritenuto uno dei “padri della patria”. Nel corso del settennato inaugurò la prassi - prevista dalla Costituzione - di sottoporre al riesame del Parlamento le leggi già approvate. Si spense a Roma il 30 ottobre 1961, a cento anni dalla proclamazione dell'unità d'Italia.

Giovanni Gronchi

Giovanni Gronchi (1955-1962)

Toscano di Pontedera, in gioventù partecipò alla Prima guerra mondiale come ufficiale di fanteria guadagnando una medaglia d'argento e una di bronzo al valor militare. Dopo la laurea in lettere alla Normale di Pisa, nel 1919 partecipò alla fondazione del Partito Popolare Italiano. Nel ’42, invece, fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana, all’interno della quale divenne punto di riferimento della corrente di sinistra. 

Eletto deputato all'Assemblea Costituente nel 1946, divenne presidente della Camera dal 1948 al 1955 e proprio in virtù di tale ruolo, nel corso del quarto scrutinio per l’elezione del presidente della Repubblica del 1955, lesse le schede recanti il suo stesso nome. Raggiunse il quorum con 658 voti su 883 (78,1%), primo democristiano ad essere eletto Capo dello Stato. 

Dal Quirinale promosse una politica estera incentrata sull’equidistanza tra blocco occidentale e Urss recandosi in visita di Stato sia a Washington che a Mosca. Appoggiò personalmente le visioni terzomondiste del ruolo economico dell'Italia elaborate dal presidente dell'Eni, Enrico Mattei. Morì a 91 anni il 17 ottobre del 1978, ma la notizia passò in secondo piano poiché l'attenzione dei media era totalmente rivolta all'elezione del nuovo Papa Giovanni Paolo II, avvenuta il giorno prima.

Antonio Segni nel suo studio al Quirinale

Antonio Segni (1962-1964)

Nato a Sassari il 2 febbario 1891, dopo la laurea in giurisprudenza aderì al PPI fin dalla sua fondazione insegnando presso le università di Sassari, Perugia e Roma. Nel 1942 fu tra i fondatori della DC divenendo deputato dell’Assemblea Costituente, prima tappa di uno straordinario curriculum politico. Fu Sottosegretario all'Agricoltura, Ministro dell'Agricoltura e Foreste, Pubblica Istruzione, Difesa, Interno e Affari Esteri fra i governi Bonomi III, Parri e De Gasperi I, II, III, IV, V, VI e VII, Pella, Tambroni, Fanfani III e IV e quelli da lui stesso presieduti, nonché vicepresidente del Consiglio nel Fanfani II. Accumulò il record di ben 135 mesi da ministro, tuttora imbattuto nella storia dei Presidenti della Repubblica. Politico di tendenze conservatrici, fu due volte presidente del Consiglio fra il 1955 e il 1960.

Eletto presidente della Repubblica al nono scrutinio del 1962, ottenne 443 voti su 842 (51,9%). Dal Colle diede il suo benestare al generale dei carabinieri Giovanni de Lorenzo per la costituzione del “Piano Solo”, che prevedeva l’intervento dell’Arma dei carabinieri per far fronte a un’ipotetica situazione di estrema emergenza per il Paese. Si dimise dopo soli due anni e mezzo per motivi di salute, la sua è stata la seconda presidenza più breve della storia repubblicana. Morì a Roma nel 1972, a 81 anni.

Saragat in visita da Paolo VI in Vaticano

Giuseppe Saragat (1964-1971)

Torinese di nascita, nel 1916 combatté sul Carso e dopo la laurea in Scienze economiche e commerciali fu assunto come contabile alla Banca Commerciale Italiana. Divenne esponente di punta del Partito Socialista Unitario, il cui segretario Giacomo Matteotti fu ucciso dal regime fascista prima dello scioglimento dello stesso PSU. Saragat contribuì a ricostituire il partito clandestinamente e dopo l’avvento della dittatura in Italia, nel 1929 raggiunse a Parigi Filippo Turati e Sandro Pertini in esilio.

Tornato in patria, entrò nella Resistenza. Arrestato dalle autorità tedesche nel ’44, riuscì a evadere dal carcere Regina Coeli con Pertini. Nel dopoguerra fu presidente dell'Assemblea Costituente sino al 1947. Poi, col Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, entrò nella coalizione centrista dei governi De Gasperi.

Alle elezioni presidenziali del 1964 la spuntò solo al 21° scrutinio, con 646 voti su 963 (67,1%). Durante il suo settennato fu apertamente atlantista. Non rinviò mai una legge alle Camere e conferì sempre l'incarico di formare il governo agli esponenti indicati dalla maggioranza parlamentare. Anche per questo il tentativo di colpo di stato progettato da Junio Valerio Borghese per il dicembre 1970 prevedeva la cattura e il rapimento di Saragat, operazione che si sarebbe svolta sotto la cura del Maestro venerabile della Loggia P2 Licio Gelli. Terminato il mandato di presidente, tornò alla politica attiva, guidando il Psdi. Considerato il padre della dottrina socialdemocratica italiana. Morì nel 1988 a Roma.

Giovanni Leone

Giovanni Leone (1971-1978)

Nato a Napoli nel 1908, dopo la conclusione degli studi universitari in giurisprudenza e scienze politiche svolse l’attività forense ed accademica presso diverse università. Nel 1944 s'iscrisse alla Democrazia Cristiana e nel ’45 fu eletto all'Assemblea Costituente contribuendo alla stesura della Costituzione. Nel 1948 divenne deputato, nel ‘55 presidente della Camera, nel 1963 presidente del Consiglio. Nel ’67 fu nominato senatore a vita da Saragat, che l’anno successivo gli conferì l’incarico di formare un nuovo governo.

Alle elezioni per il presidente della Repubblica del 1971, Leone venne eletto al 23° scrutinio con 518 voti su 1008 (51,4%) in quella che rimane l’elezione più lunga di sempre. La sua presidenza fu caratterizzata da una linea improntata all'indipendenza piena dai partiti e al rispetto scrupoloso delle istituzioni e del dettato costituzionale. Sotto la sua presidenza prese il via il primo governo Andreotti, nel corso del quale esercitò il potere di scioglimento anticipato del Parlamento per la prima volta in epoca repubblicana.

Coinvolto nello Scandalo Lockheed e oggetto di una violenta campagna di stampa promossa dal Partito radicale, rassegnò le dimissioni sei mesi prima della scadenza naturale del mandato. Morì a Roma nel 2001, all’età di 93 anni.

Sandro Pertini a Madrid con Enzo Bearzot per la finale dei mondiali di calcio del 1982

Sandro Pertini (1978-1985)

Originario di Stella (Savona), nel primo dopoguerra aderì al Partito Socialista Unitario di Turati e si distinse per la sua energica opposizione al fascismo. Nel 1925 fu incarcerato per aver redatto un opuscolo antifascista. Venne nuovamente condannato nel 1927 per aver favorito l'espatrio di Filippo Turati in Francia, dove lo seguì in esilio. Rientrato sotto falso nome in Italia nel 1929, fu arrestato e condannato alla reclusione e al confino.

Contribuì a ricostruire il vecchio PSI divenendo una delle personalità di primo piano della Resistenza e membro della giunta militare del Comitato di Liberazione Nazionale. Catturato a Roma dalle SS, fu condannato a morte ma riuscì a evadere da Regina Coeli assieme a Saragat. Nell'aprile '45 organizzò l'insurrezione di Milano votando il decreto che condannò a morte Mussolini e i gerarchi fascisti. Le sue azioni partigiane gli valsero una medaglia d'oro al valor militare.

Nell’Italia repubblicana fu eletto deputato all'Assemblea Costituente, poi senatore e ancora deputato. Due volte presidente della Camera, divenne presidente della Repubblica Italiana l'8 luglio 1978, al sedicesimo scrutinio, con 832 voti su 1011 (l’82,3%, percentuale più alta di sempre). Il suo mandato fu caratterizzato da una forte impronta personale che gli valse una notevole popolarità, tanto da essere ricordato nella memoria collettiva come il presidente più amato dagli italiani. Indimenticate la sua commozione per la strage di Bologna, il dolore per il terremoto nell’Irpinia e la gioia incontenibile per la vittoria dell’Italia ai mondiali dell’82. Durante e dopo il periodo presidenziale non rinnovò la tessera del PSI al fine di presentarsi al di sopra delle parti. Terminato il mandato nel 1985, si spense a Roma nel 1990 a 93 anni.

Francesco Cossiga e Sandro Pertini

Francesco Cossiga (1985-1992)

Secondo sassarese presidente della Repubblica. Si iscrisse giovanissimo alla Dc prima di laurearsi in giurisprudenza e ottenere la cattedra di diritto costituzionale presso l’Università di Sassari. Alla fine degli anni Cinquanta, non ancora trentenne, iniziò una folgorante carriera politica. Eletto deputato per la prima volta nel 1958, divenne il più giovane sottosegretario alla Difesa nel governo Moro III. Nello stesso periodo ricevette l’incarico di sovrintendere sull’organizzazione segreta Gladio, di cui aveva fatto parte. Fu ministro dell'Interno con Moro e Andreotti, gestendo gli interventi delle forze dell’ordine durante i controversi anni di piombo finché, nel 1978, venne rapito ed ucciso dalle Brigate Rosse il collega ed amico Aldo Moro.

L’anno successivo divenne presidente del Consiglio e nel 1985, a 56 anni, da presidente del Senato in carica divenne il più giovane presidente della Repubblica di sempre, eletto al primo scrutinio con 752 voti su 1011 (74,3%). L’esperienza quirinalizia gli valse il soprannome di “Picconatore”, dovuto al fatto che, cercando di smuovere un sistema ingessato, abbandonò ogni formalismo. Celebri le sue esternazioni pittoresche e a volte particolarmente veementi e sarcastiche rivolte alla magistratura e altri bersagli tra cui Ciriaco De Mita, Paolo Cirino Pomicino, Achille Occhetto, Stefano Rodotà. Si dimise pochi mesi prima della scadenza naturale del mandato. Fu senatore a vita dal 1992 al 2010, quando si spense a Roma a 82 anni.

Scalfaro nei giardini del Quirinale

 Oscar Luigi Scalfaro (1992-1999)

Nato a Novara nel 1918, fin da ragazzino frequentò gli ambienti dell’Azione Cattolica partecipando alle attività della FUCI. Dopo la laurea in giurisprudenza intraprese la carriera in magistratura. Lasciò la toga per la politica nel 1946, quando fu eletto con la DC all'Assemblea Costituente, nell’ambito della quale promosse l'abolizione della pena di morte dall'ordinamento giuridico della Repubblica Italiana, abolizione applicata, durante il suo settennato, anche al codice penale militare di guerra.

Ministro della Pubblica istruzione con Andreotti dal ’72 al ’73 e dell’Interno con Craxi dall’83 all’87, nell’92 fu eletto presidente della Camera prima di essere eletto al Quirinale nel pieno della crisi politica dovuta a Tangentopoli e alla strage di Capaci in cui fu ucciso Giovanni Falcone. E proprio sull’onda emotiva di quell’evento, il Parlamento, che da giorni si avvitava su se stesso alla ricerca di un candidato alla successione di Cossiga, scelse Scalfaro al 16° scrutinio, con 672 voti su 1011 (66,5%).

In veste di Capo dello Stato vide nascere la Seconda repubblica assistendo all’evolversi dell’inchiesta Mani Pulite e alla discesa in campo di Silvio Berlusconi, con il quale si scontrò duramente ai tempi del primo governo guidato da Forza Italia (1994-1995). Terminato il mandato, fu uno dei padri fondatori del Partito democratico. È morto a Roma nel 2012, a 93 anni.

Ciampi nel suo studio al Quirinale

Carlo Azeglio Ciampi (1999-2006)

Nato a Livorno nel 1920, dopo la laurea in Filologia classica alla Normale di Pisa si arruolò venendo inviato in Albania. Con l'armistizio dell'8 settembre 1943, Ciampi, avvicinatosi al Partito d’Azione, rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e si rifugiò in Abruzzo, da dove marciò insieme ad altri antifascisti per raggiungere gli Alleati a Bari. Conseguita una nuova laurea in giurisprudenza, divenne impiegato della Banca d’Italia, della quale fu nominato governatore nel 1979, nel pieno della bufera che aveva travolto l'istituzione dopo il crack Sindona.

Nel 1993, il presidente della Repubblica Scalfaro, mentre infuriava l’inchiesta Mani Pulite che pose fine alla prima repubblica, incaricò Ciampi di formare un governo di transizione che presiedette fino al 1994 divenendo il primo premier non parlamentare nella storia della repubblica. Poi, da ministro del Tesoro per i Prodi I e D’Alema I, fu fautore dell’adesione dell’Italia all’euro.

Nell’elezione quirinalizia del 1999 fu eletto al primo scrutinio con 707 voti su 1010 (70%). Durante il suo mandato, si distinse per una particolare attenzione alla riscoperta dei simboli della Repubblica, dal Tricolore all’Inno di Mameli, recuperando il patrimonio di valori riconducibili al Risorgimento e alla Resistenza. Nel 2000, dopo oltre un decennio di assenza, reintrodusse la parata delle forze armate nel cerimoniale della Festa della Repubblica. Il suo settennato fu caratterizzato, durante il Berlusconi II, da un acceso scontro dialettico con i ministri della Giustizia, delle Telecomunicazioni e degli Esteri (in merito al conflitto iracheno). A Ciampi fu chiesto di accettare l’incarico per un secondo mandato, ma rifiutò per ragioni d’età (aveva 85 anni). Divenuto senatore a vita, morì a Roma a 95 anni nel 2016.

Giorgio e Clio Napolitano con Barack e Michelle Obama

Giorgio Napolitano (2006-2015)

Unico ex Capo dello Stato ancora vivente, è stato anche il solo, finora, ad essere rieletto per un secondo mandato. Nacque a Napoli nel 1925, durante gli studi universitari in giurisprudenza aderì al Partito Comunista Italiano, di cui divenne esponente della corrente di destra e col quale venne eletto deputato nel 1953. Fra gli anni ’60 e ’70 si occupò del dialogo con la socialdemocrazia europea, divenendo il primo dirigente comunista italiano ad ottenere un visto per gli Stati Uniti nel ’78.

Nel 1992 venne eletto presidente della Camera durante la cosiddetta “legislatura di Tangentopoli” e la sua presidenza divenne uno dei fronti del rapporto tra magistratura e politica. Poi, da ministro dell’Interno del primo Governo Prodi, promosse una legge di regolamentazione dei flussi migratori che porta il suo nome prima di passare all’europarlamento.

Eletto per la prima volta presidente della Repubblica nel 2006 al quarto scrutinio con poco più del 50% dei suffragi, primo e unico comunista a salire al Colle. Il suo mandato coincide con la comparsa nella scena politica italiana del Movimeno 5 Stelle. Nel 2013, a seguito dei fallimentari tentativi di individuare il suo successore, il Parlamento gli tributò una percentuale plebiscitaria con 738 voti su 1007 (73%). In quella occasione, profondamente toccato dall’emozione, rimproverò tra gli applausi i parlamentari e i delegati regionali che lo avevano rieletto per non essere stati in grado di scegliere un nuovo Capo dello Stato. Dopo due anni, il 14 gennaio 2015 rassegnò le dimissioni per le difficoltà legate all'età. Alla scadenza naturale del secondo mandato (22 aprile 2020), qualora l'avesse completato, Napolitano avrebbe avuto quasi 95 anni.

Sergio Mattarella

Sergio Mattarella (2015- )

Palermitano di nascita (1941), è il presidente attualmente in carica. Fratello di Piersanti, Presidente della Regione siciliana ucciso dalla mafia il 6 gennaio 1980. Dopo la laurea in giurisprudenza alla Sapienza di Roma, esercitò l’avvocatura insegnando diritto costituzionale e parlamentare all’università di Palermo. In seguito all’assassinio del fratello intensificò la sua attività politica aderendo alla Dc, in Sicilia profondamente scossa come sistema politico regionale dagli omicidi di mafia ai danni di Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa.

Nel 1982 venne eletto alla Camera per poi divenire ministro per i Rapporti col Parlamento dei governi Goria e De Mita. Ministro della Pubblica istruzione dell’Andreotti VI, riorganizzò la scuola elementare portando al superamento del cosiddetto maestro unico. Nel corso dell'XI legislatura fu relatore delle leggi di riforma del sistema elettorale della Camera e del Senato che introducevano una preponderante componente maggioritaria. La legge, conosciuta come Mattarellum, fu impiegata per le elezioni politiche del 1994, del 1996 e del 2001. Nel 1994 fu tra i fondatori del Partito Popolare Italiano, poi aderì all’Ulivo divenendo vicepresidente del Consiglio del D’Alema I e ministro della Difesa nei D’Alema II e Amato II seguendo la partecipazione dell’Italia alla guerra in Kosovo e determinando la fine del servizio di leva obbligatorio. Dopo una breve esperienza nel Partito Democratico, venne eletto Giudice della Corte costituzionale.

Alle elezioni per il presidente della Repubblica del 2015 ebbe la meglio al quarto scrutinio con 665 voti su 1009 (65,9%). Dal Quirinale ha firmato la nuova legge elettorale Italicum e la legge di riforma del sistema elettorale nota come Rosatellum bis. Durante il suo settennato ha visto succedersi a Palazzo Chigi Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte e Mario Draghi. Oggi gli viene chiesto da più parti di restare per un secondo mandato, ma Sergio Mattarella ha ribadito in diverse circostanze che la sua esperienza si concluderà alla scadenza naturale del settennato, a fine gennaio.

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