Carbonia

Storie dei nonni | Carbonia. “Ho vissuto la seconda guerra mondiale quando ero solo una bambina”

Classe 1933, capelli di un bianco luminoso, occhi chiari e una dolcezza infinita. Nonna Beatrice si ricorda bimba durante uno dei periodi più bui dell’intera umanità

Storie dei nonni | Carbonia. “Ho vissuto la seconda guerra mondiale quando ero solo una bambina”

Di: Sabrina Cau - Foto simbolo


“Avevo 7 anni e abitavo a Carbonia (SU), a casa di mia sorella e mio cognato. Ogni mattina andavo a prendere il pane fresco, ma quel giorno il fornaio mi disse: ‘Oggi non abbiamo il pane perché siamo entrati in guerra’. Da quel momento in poi, capii molto bene il significato di quella brutta parola”.

Quando incontriamo Beatrice a casa sua, lei ci invita ad entrare in cucina e a sederci attorno al tavolo. Ha già preparato il vassoio con le tazze per il tè e c’è anche un piattino con alcuni biscotti. La casa profuma di buono e tutto: dalla credenza di legno, alle tende e ai deliziosi soprammobili vintage, ci riporta a quella dei nostri nonni, regalandoci per un momento, bellissimi ricordi d’infanzia.

Comincia a parlare, ma non prima di averci strappato la promessa di usare un nome di fantasia: “Quando, se Dio vorrà, compirò i miei 100 anni non vorrò nemmeno la festa con il sindaco perché io sono così, riservata e timida” dice con dolcezza. Non possiamo fare a meno di sorridere e di garantirle che la chiameremo Beatrice. Lei annuisce soddisfatta: “Mi piace! Grazie figlioli”.

Rimasta orfana di padre ancora prima di nascere, nonna Beatrice ha adesso 90 anni, portati decisamente molto bene. Abita a Narcao (SU), ma è nata e cresciuta a Carbonia. È una donna forte, ma tenera e accudente al tempo stesso. Ha i capelli perfettamente pettinati e raccolti in una stretta crocchia, i lineamenti morbidi e gentili con gli occhi chiari, profondi ed espressivi. È sempre disponibile con tutti e ha accettato subito di condividere con noi di Sardegna Live, la proposta di raccontare l’esperienza vissuta durante la guerra e noi la ringraziamo.

“Dopo quelle parole del fornaio di paese la vita cambiò radicalmente per tutti. Non avevamo il tempo di renderci conto di quello che stava accadendo, ma percepivamo paura e disagio - racconta - se non eravamo in possesso della ‘Tessera del pane’ - continua - non avevamo il diritto di comprarlo” gli occhi le diventano lucidi. La commozione è evidente, fa un sospiro e ci spiega che: la ‘Tessera del pane’ era un documento personale introdotto dal regime fascista subito dopo l’inizio della guerra, una tessera che veniva distribuita dal Comune ad ogni famiglia e stabiliva le quantità di pane, ma anche di farina, di sale o olio che potevano essere acquistate in un certo periodo di tempo. Addirittura, non era permesso avere il carbone per la stufa senza la tessera”.

“La razione di pane che avevamo il permesso di comprare, se muniti di tessera, era di soli 150/200 grammi” spiega e, a noi viene in mente subito la fame che doveva sopportare la classica famiglia italiana dell’epoca, sempre molto numerosa.

“Io facevo lunghissime file davanti al panificio, mi alzavo anche alle tre del mattino per aspettare la distribuzione del pane. Eravamo ridotti alla fame, a me mancavano anche i vestiti e le scarpe, andavo scalza, inciampavo spesso e avevo le dita dei piedi sempre insanguinate”.

Sua madre vedova, molto povera e in difficoltà, affidò Beatrice alla figlia più grande, già sposata, affinché badasse a lei e le garantisse un piatto da mettere ogni sera a tavola. Ma la povertà, in quel periodo, era davvero di molti e lei visse comunque grosse sofferenze. Incontra l’uomo che, poi sposerà, a 20 anni e diventa la mamma attenta e orgogliosa di cinque figli. Anche dopo la guerra, la vita non le ha certo risparmiato momenti in cui avrebbe voluto cedere allo sconforto e lasciarsi andare, ma il suo carattere forte e orgoglioso le ha sempre consentito di andare avanti, supportata dalla caparbia fierezza, tipica della “femmina sarda”.

“Dopo essere stata dal fornaio, quel giorno tornai a casa a mani vuote - prosegue nonna Beatrice - Avevamo davvero fame, perciò, a mia sorella venne in mente di raccogliere tutto il pane secco, lavarlo per bene, bollirlo e mangiarlo. Adesso tutti a casa abbiamo la scorta alimentare, ma all’epoca non era così, ci si doveva arrangiare in un modo o nell’altro. La guerra è qualcosa che nessuno può immaginare se non chi l’ha vissuta. Quando arrivava il buio della notte dovevamo stare attenti, addirittura, a non usare la luce delle candele, perché anche una piccolissima luminosità, poteva attirare l’attenzione degli aerei che, non esitavano a bombardare ovunque”.

“Grazie a Dio, crescendo sono riuscita a trovare lavoro a Cagliari, presso la famiglia di un giudice, lì lavoravo e mangiavo bene, ma i bombardamenti erano all’ordine del giorno. Ricordo che una volta stavo andando in direzione del Bastione di Saint Remy, ma ad un certo punto, dal cielo lanciarono una scarica di bombe, sono tornata indietro di corsa, con una paura nel cuore che non dimenticherò mai. Quando sono arrivata qui a Narcao ricordo che c’erano solo le mitragliatrici, non ho memoria di bombe, ma la guerra si sentiva, eccome!”.

Chiediamo a nonna Beatrice quale episodio della guerra ricorda con più intensità: “A parte la fame e il freddo perché non avevo niente con cui coprirmi, un particolare ancora lo ricordo come se fosse accaduto ieri: durante le lunghe e interminabili file per il pane e i generi alimentari di prima necessità, mi presi i pidocchi. Mia sorella disperata, dato che, non riuscivamo a liberarci di quei terribili animaletti, usò la benzina convinta di ucciderli, sicuramente i pidocchi morirono, ma io mi ritrovai con il collo ustionato” (ride).

“Dopo la guerra fu a Sant’Antioco (SU) che incontrai l’uomo che poi sposai - continua nonna Beatrice andando avanti e indietro nel tempo con la memoria -.  Ho amato tanto mio marito e, dopo la sua morte, nessuno è più riuscito a conquistare il mio cuore - rivela con un sorrisino compiaciuto appena accennato - abbiamo nipoti e pronipoti bellissimi - si ferma un attimo, si alza dalla sua poltrona preferita e si sposta in un’altra camera. Torna da noi, dopo pochi minuti, con in mano due portaritratti in argento con le foto di due bimbi. Ci mostra orgogliosa prima un bambino di appena 5 anni e, dopo una bimba di 8 che indossa il tutù durante un saggio di danza: “Lei ha vinto anche un premio - afferma fiera - questi sono solo due dei miei pronipoti”.

Abbiamo fatto un salto indietro nel tempo e, nessuno meglio di nonna Beatrice poteva aiutarci a comprendere quanto siamo fortunati a vivere la pace. La salutiamo, ma questa volta siamo noi a pretendere da lei una promessa: deve invitarci alla festa dei suoi 100 anni con il sindaco del paese. Glielo proponiamo, lei ci guarda e con un grande sorriso fa no con l’indice della mano libera, perché nell’altra ha già pronto il piattino con la ricotta di pecora che vuole regalarci.

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