In Sardegna

Tumore al seno: “Provare a curarmi in Sardegna è stato deprimente”

Carla racconta la sua esperienza: ha provato a curarsi nell’Isola ma ha scelto di andare via

Tumore al seno: “Provare a curarmi in Sardegna è stato deprimente”

Di: Ilaria Cardia


Avere un tumore in Sardegna e sentire l’esigenza di curarsi al di fuori della regione. Tornare a casa, sentirsi salvi ma, allo stesso tempo, arrabbiati con le istituzioni e con chi amministra la sanità nell’Isola. Carla, che chiameremo così per proteggere il suo anonimato, ha spiegato ai microfoni di Sardegna Live quel che lei ha definito “un calvario”, ossia il suo percorso di cure e guarigione che l’ha condotta in Piemonte, precisamente a Candiolo.

Conosciamo Carla attraverso la storia della signora R. che vi abbiamo raccontato poche settimane fa; infatti, dopo averla letta, la stessa ci ha contattati per dirci che anche lei voleva raccontare la sua storia. Per entrambe molte similitudini: un tumore al seno, un disagio tra gli ospedali dell’Isola e l’incontro con il Dottor Toesca dell’Istituto Oncologico Candiolo di Torino che le ha condotte fuori dalla Sardegna per curare il loro problema. 

Due donne che hanno scelto l’anonimato per un motivo specifico: il loro percorso di guarigione non è concluso, entrambe devono tornare in quelle strutture che hanno disilluso le loro aspettative e non vogliono avere ripercussioni negative o ostilità durante il loro percorso.  

L’INTERVENTO ENTRO 70 GIORNI – “Quando ho scoperto di avere un tumore al seno, insieme alla mia famiglia, abbiamo pensato a quale fosse la soluzione migliore per la mia pronta e serena guarigione. Non volevo partire, stare lontana da casa per lunghi periodi; insomma, volevo curarmi a casa mia, nella mia terra. Credo sia un diritto più che lecito.” Nella voce di Carla è ancora presente l’emozione nel rivivere quell’attimi di preoccupazione e paura per il proprio futuro. 

Era l’aprile del 2023 “Scelgo un ospedale in Sardegna molto rinomato e, in quella struttura, ripeto le prime analisi che avevo già svolto nella mia città inizialmente. L’esito delle primissime visite era chiaro. Dovevo essere operata entro 70 giorni; esito che si ripeté anche nella seconda struttura e, infatti, mi venne detto di esser stata inserita in una lista d’attesa per l’intervento – e specifica – mi venne detto da un medico ‘Se non dovessimo operarla entro 70 giorni lei ci potrebbe anche denunciare’, e quindi? A cosa penseresti dopo un’affermazione del genere? Fatta da un medico, poi. Che a breve qualcuno chiamerà e ti dirà in che giorno verrai operata, giusto?”.

DOPO I 70 GIORNI – Secondo il racconto di Carlala chiamata arrivò, ma non entro i termini indicati dalla struttura e, soprattutto, non per essere sottoposta all’intervento: “Mi dissero di dover ripetere nuovi esami. Andai e, nuovamente, rimasi ad aspettare a casa nell’incertezza. Dopo 15 giorni, decisi di prendere in mano la situazione e di andare a fare una visita privata dal Dottor Toesca. Sentivo l’esigenza di avere un secondo parere medico; lo stesso mi disse che era necessario un intervento il prima possibile.” Carla gli spiegò di essere già in lista in una struttura nell’Isola e di essere solo in attesa di una chiamata: “Lui mi consigliò di non attendere molto e ci salutammo” e così passarono altri giorni.  

“Più passava il tempo e più mi preoccupavo di non aver nessuna notizia dall’ospedale. Anche la mia dottoressa iniziò a chiamare nella struttura ospedaliera per avere informazioni inerenti al mio intervento e riuscì a scoprire una cosa per me scioccante”. 

L’AMARA SCOPERTA – “’La signora ha scelto di non essere operata qui ma in un altro ospedale. Non è nella nostra lista di attesa’ dissero questo alla mia dottoressa. Rimasi di ghiaccio. Io aspettavo da mesi la loro chiamata, chiedevo continue spiegazioni, mi preparavo psicologicamente e giornalmente per un intervento che nella realtà dei fatti non era stato inserito nella lista di attesa e mi si attribuiva addirittura la responsabilità”. 

Fu in quel momento che Carla decise di non stare più in silenzio: “Chiamai per trovare, dall’altra parte del telefono, accidia e maleducazione. Quando chiesi spiegazioni mi fu detto ‘Signora ma crede di essere l’unica? Probabilmente passeranno due o tre mesi prima che lei possa vedere un oncologo’ - Carla, con la voce rotta dal pianto, spiega – Dovevo essere operata entro 70 giorni, ne erano passati molti di più e avrei dovuto aspettare altrettanti per la visita di un oncologo. Era davvero troppo. Mi arrabbiai”.

L’ONCOLOGO  Carla non si fermò di fronte a quel rifiuto, andò nella struttura ospedaliera e riuscì a parlare con il medico che attendeva da troppo tempo: “Quella fu la seconda delusione, mi fu proposto di fare cinque mesi di chemioterapia. Dopo la chemio avrei dovuto aspettare qualche mese, ripetere gli esami, valutare successivamente (e quindi dopo un anno) l’operazione. Tutto il contrario di quello che mi aveva detto non solo il dottor Toesca, ma la struttura stessa. In quel momento, richiesi senza esitazione la mia documentazione per andare da un’altra parte e, per sbaglio, l’oncologo disse di non averla mai visionata. La mia documentazione era sparita. Quindi, senza aver visto le mie analisi, mi era stata suggerita una terapia non adatta al mio problema”. 

“Se una persona non ragiona lucidamente, che è un’ipotesi più che plausibile in certe circostanze, oppure non ha i soldi per dei consulti privati, come può vivere nel modo più sereno la malattia?”. 

LA SANITÀ IN SARDEGNA – “Questa è la seconda volta che ho a che fare con la sanità isolana nell’arco di vent’anni e devo dire di aver assistito, da paziente, a un degrado terrificante. Le cose vanno sempre peggio. Non si tratta di destra o sinistra, si tratta di persone che ci governano e che danno l’impressione di non tenere al bene comune dei cittadini".

“Le racconto un episodio che è stato molto significativo nel mio percorso e può esserlo per il racconto della mia esperienza. Nello stesso ospedale dove è sparito il mio nome nella lista di attesa, dove la mia documentazione era introvabile e dove mi è stato detto 'Si crede l’unica?' ho assistito a una scena raggelante. Sono stata nell’attesa di una visita per due ore; una fila di persone molto corposa e, in capo, cinque infermiere radunate che conversavano su viaggi e ferie (eravamo in periodo estivo). Nel frattempo, squillava il telefono all’impazzata e quel che facevano era alzare la cornetta per poi buttare subito giù per riprendere la conversazione. Questa scena non parlava di carenza di personale, parlava di disorganizzazione e maleducazione”.

LA RADIOTERAPIA - Carla ha preso quel volo che l’ha condotta all’ospedale di Candiolo. Lì si è operata in tempi brevissimi e racconta di aver preso una delle scelte migliori della sua vita. Dopo l’operazione, però, avrebbe dovuto iniziare la radioterapia: “Anche per quella, mi sono affidata all’ospedale torinese. In Sardegna avrei dovuto viaggiare; se gli orari delle visite fossero sempre puntuali avrei potuto pensare di affidarmi ai mezzi pubblici ma, in Sardegna, ti danno un appuntamento, ad esempio, alle 11 del mattino e chissà se alle 17 hai terminato. Non mi sentivo di guidare e percorrere da sola in macchina chilometri e chilometri dopo la radioterapia; non potevo nemmeno immaginare di costringere un familiare nell’essere a mia disposizione. Per non parlare dei collegamenti stradali in Sardegna. Ho scelto quindi di restare a Candiolo e affidarmi completamente a loro anche per la radioterapia.” 

“È STATO DEPRIMENTE” – Provare a curarsi in Sardegna, per Carla, è stato: “Deprimente. Ho trovato disarmante trovare così tanta disorganizzazione. Si tratta della vita delle persone, non si può lavorare così. Quando ho letto la storia della signora R. ho pensato ‘ecco un’altra povera donna che ha dovuto fare mille giri per riuscire a curarsi. Perché qui dev’essere così difficile?”. 

“Sa quanti pazienti sardi ho trovato a Candiolo? Tantissimi! Tutti scappati da disavventure avvenute nella nostra Isola, le richiedo, perché?”

L’APPELLO – In conclusione, Carla vuole rivolgere un appello al personale sanitario e ai politici: “Ci sono persone molto fragili, che quando scoprono di avere un tumore lo diventano ancora di più. Trovare delle persone insensibili, che non hanno a cuore il benessere anche psicologico di un paziente è davvero la cosa peggiore che possa capitare. Il personale sanitario dovrebbe essere preparato anche a quello, prestate attenzione”. 

Nonostante l’anonimato, la signora R. è disposta a parlare con chiunque ne abbia il piacere attraverso la redazione di Sardegna Live. Potete mandare una mail all’indirizzo redazione@sardegnalive.net con oggetto Risposta all’articolo “paziente oncologica tumore al seno”, saremo lieti di mettervi in contatto con lei.  

Correlati

Il nuovo shop di Sardegna Live

SardegnaLive mette in vendita una serie di prodotti tipici dell’Isola, scopri i cesti regalo, i prodotti per il corpo ed i gadget nel nostro shop online.

Scopri lo shop