In Sardegna

Tumore al seno in Sardegna: “Io cittadina di serie B”

"Liste d'attesa infinite, pareri discordanti tra i medici, psicologhe con troppi pazienti", la testimonianza

Tumore al seno in Sardegna: “Io cittadina di serie B”

Di: Ilaria Cardia; immagine simbolo


Una vita frenetica, in una grande e affiatata famiglia, un lavoro che regala gioie e soddisfazione: la vita di R. era tutto quel che lei ha sempre desiderato. Sino al dicembre 2021. Quel giorno R. non lo dimenticherà mai: “Forse questo momento mi è rimasto impresso per la semplicità dei gesti che mi hanno condotta a guardare quel che nessuna donna vorrebbe vedere. Ero di fronte allo specchio, volevo depilare le ascelle e, mentre ero intenta nell’azione, ho visto una leggera pallina che sporgeva dal seno, insomma, uno strano e piccolo rigonfiamento”. 

Quel che ha deciso di raccontare R., ai microfoni di Sardegna Live, è una vicenda che l’ha segnata nel profondo: “Mi sono sentita sola, arrabbiata, sfiduciata, non compresa, con cura della persona pari a zero. Arrivi spaventata, attese interminabili che fanno accrescere il senso di paura. Non si sono minimamente dedicati a me come persona. Io difendevo a spada tratta la sanità, mi spiace, oggi non posso più farlo. Mi sono sentita una cittadina di serie B”. Nonostante questo, vuole che nasca del buono dalla sua vicenda e ha il desiderio di poter aiutare o dare del conforto a tante donne nella sua stessa situazione. 

R. ha chiesto di mantenere l’anonimato perché non pronta ad esporsi pubblicamente; come il suo nome, cognome ed età, rimarrà anonima la sua provenienza e l’ospedale sardo che le ha prestato le prime visite. 

I PRIMI ACCERTAMENTI DI R. - “Mi diressi subito dal mio medico di famiglia e chiesi un suo parere. Pensai di avere un linfonodo ingrossato e lui diede credito alla mia teoria. Mi consigliò di fare subito un’ecografia in ospedale. Quello fu il momento in cui per me iniziò l’incubo”. Un incubo che leggerete nel corso del racconto, un viaggio tra i ricordi di R. che oggi, in modo lucido e a distanza di due anni, riesce a riportare con chiarezza e referti alla mano. 

“Durante il corso dell’ecografia, affrontai subito il radiologo interventista. Gli chiesi se per lui fosse un linfonodo. Mi guardò ma non mi rispose, dopo qualche minuto mi propose di fare l’ago aspirato. Accettai, mi ero affidata completamente a quel medico. Prima del prelievo mi chiese ‘Signora lei ha paura?’, mi domandai ‘Paura di cosa?’ e a quel punto iniziò la mia confusione. Oggi, che mi è tutto più chiaro, capisco quanto l’atteggiamento di quel medico abbia contribuito nel far vacillare le mie sicurezze e creò quel muro di incertezze che mi portarono a stare molto male psicologicamente”. Terminato il prelievo, a R. fu detto di ritornare dopo pochi giorni per effettuare una mammografia. “Ritornai. Durante quell’esame mi disse di avere il referto dell’ago aspirato. Gli chiesi l’esito e la sua risposta fu ‘Tutto e niente’. Tutto e niente? Che risposta è? Rimasi perplessa mentre la confusione accresceva”. Accadde anche un altro fatto durante quella visita “Disse di aver intravisto qualcosa anche nel seno destro, ma aggiunse ‘Va beh, poi vedremo’ percepivo fretta, poca attenzione, pressapochismo”. 

L’AIUTO DI UN’AMICA  “Fortunatamente, dopo quella visita, mi confidai con un’amica anestesista. Rimase basita dinnanzi il mio racconto. Nella testa risuonava la frase ‘Tutto e niente’ e lei mi disse ‘È inaccettabile una risposta del genere’. Nel referto lessi (dopo averlo ritirato) rari elementi stromali traumatizzati, in sostanza l’esito non aveva portato nessun risultato perché era stato fatto male. Va bene, nessun problema, capita. Volevo solo esser messa al corrente e non lasciata nel dubbio più torbido”. 

R. non sapeva a chi affidarsi. Decise di non sottoporsi alla biopsia proposta e programmata e di chiedere un nuovo consulto medico da un privato: “Immediatamente mi disse ‘Signora, mi gioco tutta la mia carriera di medico che da 40 anni svolge questa professione: il suo non è un linfonodo. Vada da un chirurgo.’ Ecco il radiologo all’ospedale mi avrebbe dovuto dire esattamente questo. Non lo fece, sommai le risposte vaghe, la mia voglia di certezza e decisi di ritirare i miei referti e sollevare l’ospedale (e quel radiologo) da ogni tipo di responsabilità nei miei confronti. Chiesi per telefono i miei referti, spiegando la necessità di confrontarmi con il mio medico. Anche in quel caso ricevetti delle risposte che ancora oggi mi viene difficile classificare, del tipo: ‘Non è necessario il consulto del suo medico, le ho già detto io quel che deve fare’ oppure ‘È inutile nascondere la testa sotto la sabbia’. Insomma, delle risposte che credo che siano andate oltre il ruolo di questo medico”. 

UN NUOVO OSPEDALE - “I medici, di un'altra struttura ospedaliera sarda, mi fecero un lungo discorso sulle ottime capacità del dottore che avevo deciso di lasciare. Mi dissero che non era giusto, che quel dottore si era preso cura di me e, nella mia testa, si materializzò nuovamente il pensiero ‘Dove andrò dopo questa visita?’. Gli risposi ‘Mi dica solo quel che vede nell’ecografia’ e lui dovette ammettere che nel seno destro non c’era niente. Quindi smentì il medico precedente e fece passare una grande paura che si era sviluppata nella mia mente. Anche lui non capì quale fosse il mio problema e mi mandò da un chirurgo. Mi asportarono la massa sospetta e io fui tranquilla nel proseguire la mia vita nei venti giorni successivi”. 

LA DIAGNOSI - Carcinoma mammario, piccolo e circoscritto, fu quello l’esito del referto dell’esame istologico “Il chirurgo mi disse che sarei dovuta tornare nell’ospedale dal quale ero scappata perché avrei dovuto affrontare un intervento e un esame preciso: la quadrantectomia e il linfonodo sentinella. Questo medico conosceva il mio disagio nel dover ritornare in quella struttura ma, costretta, decisi di acconsentire chiedendo di non essere più seguita dal primo radiologo. In quel punto della storia, la mia fiducia era totalmente compromessa nei suoi confronti. Non parlo solo per il comportamento, scoprii successivamente che nella mia condizione non avrei nemmeno potuto fare l’ago aspirato e nemmeno la biopsia. Mi dissero che avevo le mammelle troppo piccole per quel genere di indagine al quale invece fui da loro sottoposta”.

R. tornò in quell’ospedale. “Ritornai nell’incertezza, risprofondai nella confusione. Mi vennero proposti interventi con l’ausilio di tempi verbali condizionali ‘Potrebbe fare, potrebbe provare’ mi venne chiesto di pensare, di parlare con la mia famiglia. Davanti a me una collega del radiologo che avevo chiesto di non incontrare più; ricevette una chiamata e la sentii dire: ‘Ah ciao, lo sai chi c’è davanti a me? La signora R. quella delle mammelle piccole’ Mi ghiacciai, anche se mi chiese scusa per avermi appellata così ci rimasi malissimo”. 

R. venne inserita in una lista di attesa per effettuare la quadrantectomia e il linfonodo sentinella. “Un’attesa molto lunga, nel quale ebbi modo di ricevere un consiglio prezioso: fare una visita con il dottor Toesca dell’Istituto Oncologico Candiolo di Torino. L’uomo che io reputo il mio salvatore, oltre che in termini medici anche sotto il punto di vista psicologico – R. racconta che la prima domanda del medico fu – ‘Signora ha la risonanza magnetica?’ fu allora che mi accorsi che, nella confusione generale, non mi fu mai indicato quel tipo di esame fondamentale”. 

L’APPELLO AI POLITICI - “'Se lei si affida a noi ci prenderemo cura di lei’ io da quel giorno persi l’ansia, la confusione, la paura di morire”. Sul viso di R. appare un sorriso; è felice nel ricordare lo stato di benessere che provò nell’incontrare un medico senza risposte vaghe, tempi di attesa estenuanti, ma soprattutto insicurezza negli esiti. “Purtroppo, non si capisce quanto sia complicato gestire mentalmente un tumore. Inviterei la nostra politica a visitare tutte le comunità dell'Isola, in particolare, gli ambulatori e parlare con ognuno di noi perché evidentemente i territori non vengono mai sentiti (e non parlo di amministrazioni comunali ma di noi cittadini comuni). Vorrei davvero sfidare la prossima giunta regionale così che ognuno di loro ci metta la faccia. Sai per una risonanza magnetica urgente in dieci giorni quanti erano i posti a disposizione in tutta la Sardegna? Zero! Sono andata a farla privatamente e ho speso 340 euro. Fortunatamente ho avuto la possibilità, ma sono tutti così fortunati? La verità è che se non hai soldi per curarti, qui non puoi farlo”.

“Dopo un anno e mezzo ho capito che la Sardegna non gareggia ad armi pari rispetto il resto della nazione. Mi sono sentita costretta a spendere dei soldi per curarmi fuori, mi sono sentita una cittadina di serie B: essere malato in Sardegna non è come esserlo in un’altra regione d’Italia”. 

LA PSICOLOGA – “All’interno dell’equipe dell’ospedale sardo è inserita la figura di una psicologa. Dati i miei numerosi impegni chiesi un incontro attraverso una video chiamata. Durò dieci minuti: non sapeva chi fossi e che cosa avessi fatto. Dopo un mio breve riepilogo mi disse ‘Ah signora, lei ha già deciso cosa deve fare. Noi siamo pieni di pazienti e se lei non ha bisogno di un supporto io la devo salutare perché ho altri pazienti’. Con lei mi lamentai del comportamento dei medici (del suo gruppo) e le dissi apertamente che il mio problema era la relazione con loro e poi non la sentii mai più”.

I CONSIGLI – E per tutte le donne che si trovano nella stessa situazione di R., la stessa vuole dare un consiglio: “Ascoltate il vostro istinto, valutate tutti i campanelli di allarme. Non siete costrette ad affidarvi a un medico che vi ha dato poca sicurezza. Se vi accorgerete che qualcosa non va, andate via. Cercate un nuovo consulto, non fermatevi. Fidatevi prima di tutto di voi stesse, solo così troverete il giusto medico. Quando c’è un tentennamento nei risultati, ripeteteli altrove”. Inoltre, aggiunge: “Capisco che in certe situazioni si possa pensare di essere confusi dalla diagnosi ricevuta, o dalla paura di poter morire. Fatevi supportare psicologicamente da un professionista, io non lo feci. Oggi me ne pento, forse il percorso sarebbe stato più leggero, forse sarebbe stato più chiaro. Bisogna accettare la malattia e delle volte è complicato”. 

“IL SUPPORTO MANCATO” - "Io avrei solo gradito che mi venisse detto 'Signora io non sono in grado di capire qual è il suo problema. La devo mandare da un altro specialista. Ma, ripensando a tutto quel che è successo, posso solo credere che quel che è accaduto è successo perché doveva far parte del mio cammino. Oggi vedo le cose in modo differente, mi lascio scivolare le cose e sono cambiate le priorità: ora la salute è al primo posto”.

Nonostante l’anonimato, R. è disposta a parlare con chiunque ne abbia il piacere attraverso la redazione di Sardegna Live. Potete mandare una mail all’indirizzo redazione@sardegnalive.net con oggetto Risposta all’articolo “paziente oncologica tumore al seno”, saremo lieti di mettervi in contatto con lei.  

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