In Sardegna

Allarme cerealicoltura: rischio estinzione per il grano sardo

Continuando di questo passo in Sardegna non si coltiverà neppure un kg di grano.

 Allarme cerealicoltura: rischio estinzione per il grano sardo

Di: Redazione Sardegna Live


Da quattro anni il prezzo ha imboccato una lunga discesa costringendo i cerealicoltori a produrre in perdita. Dai 30 euro del 2014 ha cominciato a calare, 27 euro l’anno successivo per poi crollare a 21 nel 2016 (0,21 centesimi al kg) pagati al produttore che non bastano neppure a coprire i costi di produzione. Quest’anno il prezzo partito sempre da 21 euro sta scendendo anche di 6 euro (15-16 euro) per un peso specifico basso a causa delle continue piogge.

Una calamità perché la lunga umidità e gli sbalzi di temperatura non hanno consentito uno sviluppo regolare del chicco ed hanno creato l’ambiente ideale per lo sviluppo dei parassiti. Questo ha abbassato la qualità e dato carta bianca ai trasformatori nella contrattazione.

Negli ultimi 20 anni la cerealicoltura sarda ha perso i due terzi dei produttori e della superficie coltivata. Una annata come questa, in cui oltre ai mali atavici del settore (concorrenza sleale delle importazioni, mancanza di concorrenza) si somma una piovosità straordinaria, rischia di essere letale per il settore se non ci saranno interventi immediati, concreti e mirati, si rischia di chiudere il libro di un settore storico dell’agricoltura sarda.

COSTI PRODUZIONE. Produrre un kg di grano costa, secondo un’indagine condotta dal professor Angelo Francarelli, 24 euro al quintale (24 centesimi al kg) con una resa di 27 quintali a ettaro.

Insomma da tre anni i cerealicoltori producono in perdita. I costi di produzione sono più alti di quelli incassati dai cerealicoltori nella vendita. Da tre anni i cerealicoltori producono in perdita di 2- 3 euro a quintale che quest’anno, in alcuni, sale a 8 – 9 euro.  Perdita, che a conti fatti, sale ulteriormente, perché le rese stanno scendendo: quest’anno si sta raccogliendo intorno ai 25 quintali ad ettaro anziché 27/30.  

Il grano ha una qualità inferiore: il peso specifico è passato da una media di 81 – 82 a 72 – 73.

Insomma se dal 2015 ai cerealicoltori per pagarsi un caffè gli servivano 5 chilogrammi di grano, quest’anno dovranno aggiungerne altri 2 ed arrivare a 7 kg. 

Se nel 2014 il contadino guadagnava 30 euro da un quintale di grano, nel 1976 (42 anni fa) portava a casa 48 mila lire. Un valore che è addirittura calato nel confronto diretto, mentre tutti gli altri costi sono cresciuti a dismisura: per esempio il concime nel ’76 costava 5 mila lire oggi 45 euro, con un aumento del 1400%.

PREZZO GRANO

ANNO

EURO/Q

1976

48mila lire

2014

30 euro

2017

21 euro

2018

21 – 15 euro

DAL CAMPO ALLA TAVOLA. Stesse differenza di percentuali che ritroviamo tra il costo del grano in campo e in tavola con la pasta o il pane. Da una indagine Coldiretti, nel passaggio dal campo alla pasta il prezzo aumenta di circa il 500%, mentre dal grano al pane addirittura del 1400%. Questo sta a significare che lungo la filiera c’è qualcuno che perde e qualche altro che intasca lauti compensi. Chi perde, come al solito, è chi lavora la terra. Dove vanno a finire invece questi lauti margini di incasso?

RISCHIO ESTINZIONE CEREALICOLTORE. Questo sistema sta lasciando tante vittime lungo il cammino e rischia, in annate come questa, di accelerare il processo che sta portando i cerealicoltori a lasciare le terre incolte. Da una indagine di Laore risulta che nel quindicennio che va dal 2000 al 2015 i contadini che coltivavano grano si sono dimezzati: sono passati da 12.395 nel 2000 a 6.190 nel 2015, con un – 50,1%, mentre negli ultimi 3 anni ne abbiamo perso un ulteriore 10 – 12%.

CEREALICOLTORI

ANNO

NUMERO

2000

12.395

2010

6.190

2017

-          10 / - 12%

ABBANDONO DELLA TERRA. Ma se parliamo delle superfici coltivate l’esodo dal grano non cambia. Anzi forse negli ultimi anni è cresciuto anche di più. La Sardegna tra la fine dell’800 e inizi del ‘900 era la seconda regione dopo la Sicilia in cui si coltivava più frumento duro in Italia: 158.000ettari su 1,29 milioni totali (dato Laore). Dai dati del 2016 è scesa al decimo posto con soli 36.399 ettari su un totale nazionale pressoché simile (1,3 milioni). Ma è un dato in continuo aggiornamento in perdita per l’isola. L’anno successivo, il 2017, infatti, gli ettari coltivati sono 30.584, con una perdita di ulteriori 5.815 ettari.

In 12 anni, dal 2004 al 2015 la Sardegna ha perso il 60 per cento (58.129) della superficie coltivata a grano duro, passando da 96.710 ettari a 38.581 del 2015. Nei due anni successivi (2017) ne ha perso ancora 8 mila (7.997 precisamente) arrivando a 30.584 ettari. Quest’anno sono ancora meno e non è difficile prevedere il segno meno anche per il prossimo anno (si deve solo quantificare la perdita che vista l’annata e i prezzi sarà probabilmente la più consistente degli ultimi anni).

La zona della Sardegna che più di tutte soffre questa crisi ad oggi inesorabile è quella del Sud dove si coltivano i due terzi delle superfici: nel 2016 circa 25 mila ettari erano coltivati nelle ex provincie del Medio Campidano, Sulcis e Cagliari.

Dai dati forniti da Laore nel 2014 – 15 le superfici erano cosi distribuite sui 38.581 totali:  12.545 Cagliari; 9.985 Medio Campidano; 6.420 Sassari; 5.465 Oristano; 1.949 Sulcis; 1.450 Nuoro; 618 Ogliastra; 149 Gallura.

SUPERFICIE COLTIVATA A GRANO

ANNO

ETTARI

Fine ‘900

158000

2004

96710

2015

38581

2016

36.399

2017

30.584

È dunque a serio rischio la cerealicoltura. I circa 6 mila produttori e 30 mila ettari coltivati continuando di questo passo potrebbero solo scendere di numero. La conquista dell’etichettatura di origine nella pasta è stato un fatto storico per i produttori e consumatori italiani grazie alle battaglie della Coldiretti. Ma non basta, anche se rappresenta un freno per il peggior nemico del grano made in Italy: la concorrenza sleale delle importazioni, che sono di grano ma sempre di più anche di semilavorati (la pasta congelata pronta a lievitare). Importiamo grano del quale conosciamo poco della provenienza  e dei metodi di produzione (arriva principalmente dal Canada, Stati Uniti ed est Europa). Spesso si tratta di grano vecchio di oltre quattro anni sul quale non vengono effettuate delle analisi che viaggia in condizioni igienico sanitarie discutibili (per usare un eufemismo). Per questo ci deve essere il blocco delle importazioni a dazio zero e controlli sul 100 per cento del grano importato. 

E’ necessario mettere in atto le politiche chieste da Coldiretti anche in campagna elettorale. I 5 punti presentati a tutte le forze politiche e ai candidati alla Camera ed al Senato, prevedono, oltre all’estensione dell’etichetta di origine a tutti i prodotti dell’agroalimentare, anche togliere il segreto sulle importazioni.

De-segretare le destinazioni dei flussi di importazioni, anche per verificare gli arrivi di prodotti da Paesi che non rispettano norme analoghe a quelle italiane rispetto all’uso di prodotti chimici o alla tutela dei lavoratori. Come avviene con le importazioni di grano dal Canada trattato con glifosato in pre-raccolta e vietato in Italia perché considerato potenzialmente cangerogeno.

L’etichettatura di origine, inoltre, va accompagnata da un cambiamento culturale, quello della lettura delle etichette. I consumatori sono sempre più attenti quando acquistano il cibo, non si fermano al costo ma leggono anche l’etichetta cercando, dove è presente l’origine. Occorre continuare e incentivare soprattutto a scuola e comunque tra i più piccoli, i percorsi didattici di educazione alimentare.

Le amministrazioni pubbliche, che tanto hanno fatto in questi anni, dovrebbero ugualmente irrobustire la presenza di prodotti locali nelle mense, cosi come è necessario vincolare la ristorazione pubblica a corsie preferenziali per le produzioni locali. Ogni anno in Sardegna si somministrano tra i 10-12 milioni di pasti nelle mense, il che significa un consumo medio di circa 66mila quintali di pasta.

Tanto in questo settore può essere fatto anche dai trasformatori. L’esempio della Biraghi con il pecorino etico (accordo di filiera trasparente che garantisce un prezzo equo anche ai produttori) sarebbe salutare anche nella filiera del grano, per tutti i sardi, dai produttori ai consumatori. Un accordo quello Coldiretti Sardegna – Biraghi, premiato dai consumatori come dimostrano i numeri: in poco più di un anno le confezioni del pecorino etico sono presenti in 2500 punti vendita in Italia, con una distribuzione ponderata del 54% sia in Piemonte sia in Sardegna (regioni di origine di Biraghi e Coldiretti Sardegna).

La Coldiretti è impegnata su tutti i livelli per arginare la crisi di questo settore. La dura presa di posizione di questi anni ha consentito di ottenere l’etichetta di origine per la pasta, fondamentale per cercare di invertire la rotta in un settore che ci vede leader mondiali per il consumo pro capite (26 kg a testa) e dove però più di un pacco di pasta su tre è prodotto con grano di origine straniera, mentre nel pane la percentuale supera il 50 per cento.

Inoltre Coldiretti ha siglato un accordo di filiera per la pasta biologica con il Gruppo Casillo (leader mondiale nella trasformazione e commercializzazione del grano duro).

“E’ un settore che merita maggiore attenzione da parte di tutti – ammonisce il direttore di Coldiretti Cagliari Luca Saba -. Le continue piogge, che finalmente hanno e stanno consentendo di riempire tutti i bacini rimasti vuoti lo scorso anno a causa della siccità, stanno dall’altra penalizzando soprattutto i cerealicoltori con perdite importanti che vanno a sommarsi ad una remunerazione del grano troppo bassa e già sotto i costi di produzione. Chiederemo conto ai nostri rappresentanti nel Parlamento perché si mettano in pratica i 5 punti che abbiamo presentato in campagna elettorale a costo zero e da approvare nei primi 100 giorni di governo. In particolare quello che chiede di togliere il segreto sulle importazioni riguarda da vicino le importazioni di grano che poi ci ritroviamo nei trasformati come la pasta. Cosi come chiediamo alla regione maggiore attenzione per la valorizzazione dei prodotti locali a cominciare dalle mense pubbliche”. 

Nell’immediato occorre garantire anche un incentivo al reddito che argini le perdite dovute alla calamità naturale di quest’anno. “Le piogge hanno acuito e messo il dito nella piaga di un settore in forte crisi – evidenzia il presidente di Coldiretti Cagliari Efisio Perra - . Come organizzazione ci siamo già attivati per inviare ad alcune amministrazioni comunali le lettere in cui sollecitiamo la richiesta del riconoscimento della calamità naturale. Inoltre chiediamo sensibilità alle istituzioni per venire incontro a questi ingenti perdite e allo stesso tempo per sederci ad un tavolo e studiare insieme una politica per rilanciare il settore”.

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