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Maschicidio, gli uomini sono davvero vittime quanto le donne?

Barbara Benedettelli, saggista e giornalista pubblicista, socio fondatore e Vicepresidente dell’Osservatorio Nazionale Sostegno Vittime, ci parla di violenza nella sua feroce globalità

Maschicidio, gli uomini sono davvero vittime quanto le donne?

Di: Sabrina Cau


“Vittime si scrive con la V maiuscola, per sottolineare il valore “unico” di una condizione immeritata, non voluta, di grande e durevole sofferenza. Dobbiamo a queste persone un rispetto che, ancora oggi, non c’è”

Si è sempre battuta per tutelare le famiglie delle vittime di reati violenti e della strada. Scrittrice e membro del Comitato Onorario del Magna Grecia Awards, attualmente Assessore a Città di Parabiago (MI) con delega a Polizia Locale, prevenzione stradale, Protezione Civile e cultura, Barbara Benedetelli è anche autrice di numerosi libri. Per citarne solo alcuni : “Vittime per sempre”, “Delitti del condominio. Storie di vicini che ammazzano”, “50 sfumature di violenza- Femminicidio e maschicidio in Italia”. Il curriculum di tutto rispetto, insieme  all’impegno per difendere e tutelare  le vittime di violenza, mette in risalto la sua spiccata sensibilità nei confronti delle fragilità umane che, giocoforza, aggiunge valore al suo punto di vista, l’abbiamo incontrata e ha gentilmente risposto alle nostre domande.

Sappiamo davvero poco della violenza contro gli uomini, che dimensioni ha in realtà, il fenomeno?

“In molti paesi del mondo, europei e non, la violenza femminile contro gli uomini è riconosciuta e studiata. Da noi no, e non ci sono ricerche istituzionali. Esistono però due indagini che dovrebbero quantomeno far riflettere, nonostante le critiche non sempre corrette sulla metodologia di raccolta dei dati di chi, sostenendo a spada tratta il femminicidio, nega o riduce il fenomeno opposto. Complice la semplificazione mediatica e la censura verso chi dice “attenzione, il mondo degli affetti non vede vittime solo le donne”, diventa impossibile estirpare tutte le radici di una violenza che è sempre più estesa e radicale. E che non risparmia nessuno. Le due indagini citate sono quella relativa al 2012 dell’Università di Siena e quella dell’Associazione genitori separati dai figli GESEF, svolta su un campione di 26.800 individui che si sono rivolti al loro sportello di ascolto. La prima mostra un quadro di violenza femminile contro i partner molto vasto (5 milioni di uomini sarebbero vittime di violenza domestica) e rileva diverse analogie e alcune differenze rispetto alla violenza maschile. La seconda riporta risultati simili, ma aggiunge la problematica delle false denunce in fase di separazione: la denuncia strumentale di molestia o abuso sessuale sui figli riguarda il 33% dei padri, di cui il 99,6% ha visto archiviata la denuncia dal magistrato perché il fatto non sussiste. Allora, forse, dobbiamo superare la povertà teorica condita da violenza politica verso chi non nega l’orrore della violenza contro le donne, ma chiede di ampliare lo sguardo oltre le sterili e unilaterali narrazioni ideologiche”.

Che cosa comporta la falsa denuncia per i figli e per il genitore colpito?

“In particolare la falsa denuncia di abusi sessuali sui figli, che viene definita “pallottola d’argento”, è di per sé una forma subdola di violenza sul genitore accusato e sui figli. I bambini vengono manipolati psicologicamente e traumatizzati dalla spirale processuale che si mette in atto con tutto ciò che ne consegue: visite mediche anche invasive, percorsi terapeutici, la presenza costante dei servizi sociali, la paura di perdere entrambi i genitori. Mentre sui padri accusati spesso resta il dubbio anche quando ritenuti innocenti dai tribunali”.

Ma quanti sono gli uomini uccisi da donne?

“Basandomi sulle mie ricerche del 2016 e del 2017, nel nostro paese gli uomini uccisi da chi diceva di amarli sono in media una dozzina. Sul 2017 ho individuato anche gli uomini uccisi da un “rivale” in amore: sono 20 e hanno avuto la sola colpa di amare la ex di un altro. E qui, tenendo conto che il neologismo “maschicidio” è necessario politicamente nella misura in cui lo è il neologismo contrario, lancio una provocazione: se la cultura patriarcale è davvero al centro del concetto di femminicidio, possiamo chiamare “maschicidio” il delitto di un uomo per motivi legati al senso dell’onore e a ristabilire il principio di proprietà su di lei? “O mia o di nessun altro”. In tutto il mondo per quanto riguarda gli omicidi in coppia il rapporto numerico tra vittime femminili e maschili è sbilanciato verso le prime. Ma le seconde salgono fino almeno al 40%, secondo la ricerca straniera, se includiamo i tentati omicidi, la violenza privata, lo stalking, la violenza psicologica e quella particolare forma di violenza - anche istituzionale perché accettata - che vede colpiti in modo sproporzionato gli uomini quando sono padri separati. Aggiungo che gli uomini sono anche vittime di attacchi con acido. Tutti conoscono il nome di Gessica Notaro e di Lucia Annibali, pochi quello di William Pezzullo e di Giuseppe Morgante, attaccati da donne che non avevano accettato di essere lasciate. In Italia a causa di questi attacchi è morta una persona, un uomo, si chiamava Rosario Almiento, aveva 52 anni e lo ha ucciso sua moglie. Ne vogliamo parlare?  ”.

Qual è la prima causa di violenza femminile contro l’uomo?

“La donna si incattivisce in particolar modo durante le separazioni giudiziali in presenza di figli. Ma, al pari dell’uomo, non mancano le donne che ritengono di possedere il proprio compagno e agiscono di conseguenza. Ci sono poi quella categoria B della gelosia che sconfina in una paranoia capace di indurre all’aggressione e allo stalking e la motivazione economica (in linea con le aspettative di genere), che manca quando i ruoli sono invertiti. In linea di massima, però, uomini e donne maltrattanti, contrariamente a quanto siamo portati a pensare, sono simili nelle modalità, nell’efferatezza, nelle motivazioni, nella continuità anche sistematica della violenza fisica e psicologica”.

Raramente sentiamo parlare dai mass media di violenza sugli uomini e quando ne parlano la giustificano come “una forma di difesa”. Perché lo fanno?

“L’azione violenta per difesa è una possibilità, certo, ma più rara di quanto si pensi. E può vedere nel ruolo di difesa anche gli uomini. Questo tipo di aggressione è stata individuata dagli studiosi britannici nelle seguenti proporzioni: la gamma varia da 0% a 21% per gli uomini e da 5% a 35% per le donne, in base alla nazione di provenienza. Nel piccolo campione non rappresentativo di maltrattamenti, lesioni e omicidi tentati e portati a termine nel 2016 da me individuati per “50 sfumature di violenza”, sono 4 su 89 le donne che hanno affermato (non sempre con prove a carico) di avere aggredito per difendersi, ovvero il 4,54%. La violenza femminile “per difesa” rientra invece nello stereotipo della donna debole e vittima, alimentato dalla narrazione ideologica del femminicidio”.

Come si può evitare lo stereotipo per cui l’uomo è sempre e soltanto carnefice e la donna solamente una vittima?

“Certo femminismo attuale non si schioda di un millimetro dall’assunto uomini oppressori ergo donne vittime, che non è solo uno stereotipo, è anche una drammaturgia opportunistica e ben congegnata attraverso un paradosso: si dice che si vuole sradicare completamente il patriarcato, ma si mantiene presente sul piano culturale il suo assunto cardine. Finché non si esce da questo paradosso, alimentato dalla complicità dei media, non abbattiamo lo stereotipo, non faremo passi avanti, non salveremo nessuno. Se i numeri delle donne uccise nelle relazioni intime sono sempre gli stessi nonostante tutto ciò che si è fatto negli ultimi anni, a me viene da pensare che qualcosa, nell’approccio al fenomeno, stiamo sbagliando.”.

Se il “maschicidio” è un problema sottovalutato, come si difendono le vittime?

“Bella domanda. Come si difendono? Non possono, se prima non vengono riconosciuti come possibili vittime. Fino a qualche anno fa le donne non denunciavano per paura di non essere credute, oggi lo fanno perché sanno di avere dalla loro parte istituzioni e opinione pubblica. Ci siamo arrivati promuovendo ogni giorno la necessità di denunciare, sensibilizzando le persone, formando le forze dell’ordine e attraverso nuove leggi. E qui devo aprire una parentesi: il Codice Rosso, la legge sullo stalking, la legge sulla violenza domestica del 2013, che vengono impropriamente comunicate come leggi di protezione esclusiva delle donne, non fanno distinzioni di sesso e di genere! Ci vuole equilibrio nella comunicazione, sempre più unilaterale e avulsa dalla realtà purtroppo. Una vittima femminile non soffre di più di una vittima maschile. Anche la seconda merita ascolto e dignità, al di là dei numeri. Dietro i numeri ci sono vite umane. Quindi, dobbiamo lavorare sulla sensibilizzazione, la formazione, gli stereotipi e la comunicazione. Gli uomini che vivono relazioni con donne maltrattanti devono riconoscere la violenza e denunciarla. Ora non lo fanno perché temono di non essere creduti, di essere derisi a causa dello stereotipo di virilità, di essere accusati a loro volta in quanto maschi, di perdere i figli. E anche perché sono intimamente convinti che le cose possano cambiare a causa del ciclo malefico della violenza: provocazione, maltrattamento o abuso,  luna di miele dove tutto sembra normale. A chi fa bene non prendersi carico di tutto questo?”

Ma attualmente ci sono strutture a cui rivolgersi quando si trovano in questa condizione?

“Ultimamente di violenza di coppia verso gli uomini si parla. Negli ultimi due anni le voci come la mia e quella di altri attivisti che sensibilizzavano sul tema già prima di me, sono cresciute. Così come stanno nascendo diversi centri che si occupano di vittime maschili, se pure non sono riconosciuti istituzionalmente e non ricevono fondi. Pioniere in Italia è il centro antiviolenza Ankyra di Milano, che non fa distinzioni di genere e dal 2013 opera sul territorio nazionale. Essendo stato per lungo tempo un unicum, la maggior parte degli assistiti sono uomini. E pensare che già nel 2010 in Inghilterra e nel Galles erano attive almeno 60 case rifugio per uomini maltrattati e che oggi, in alcuni land tedeschi, c’è un numero verde dedicato, e il ministro per gli Affari sociali e l'integrazione del Baden-Württemberg, ha affermato che la violenza di qualsiasi tipo "deve essere resa pubblicamente visibile" e che quella contro gli uomini "è ancora un tabù"”.

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