Iglesias

Norfieddu, simbolo del carnevale iglesiente: la storia

Lo spettacolare rogo che chiude gli appuntamenti prima della Quaresima ha un significato molto profondo

Norfieddu, simbolo del carnevale iglesiente: la storia

Di: Alessandra Leo, foto di Pierino Vargiu


Il Carnevale a Iglesias è attesissimo dalla popolazione. Sono tanti gli appuntamenti di festa, scherzetti e divertimento, come la mascherata, la zippolata e la pentolaccia, che si concludono con l’immancabile e spettacolare  Rogo di Norfieddu nel suggestivo centro storico della città sulcitana.

Il fantoccio simbolo del Carnevale iglesiente, che a causa del suo aspetto spettrale e del suo colore nero come il carbone delle miniere sulcitane, fa paura, soprattutto ai bimbi, ha una lunga e significativa storia che comincia dai primi decenni dell’800.

Nel pittoresco capoluogo del Sulcis si usava allora praticare il lancio delle arance e le corse a cavallo per le vie del centro storico: partecipava tutta la popolazione, ogni ceto sociale veniva coinvolto e il divertimento era assicurato.

Il giorno 10 marzo 1848, il Regio Vicario di Polizia Don Costantino Rodriguez segnalava al Vicerè che “Nei tre giorni di carnevale una clamorosa riunione di persone dilettavansi nel gittare su qualunque soggetto, senza distinzione di ceto, di condizione e di carattere, fiore di stuoja, cruscone e ceneri, compromettendo il buon ordine della città e facendo nascere anche delle risse colla truppa qui stanziata, e nel terzo giorno ingrossò talmente l’adunata che contava da 500 e più persone, tra le quali si vedevano anche Cavalieri, Notai ed altri Signori, e si ebbe qualche disordine nelle case di vari particolari alle quali recavasi la moltitudine per costringere i padroni di casa ad unirsi seco loro”.

Ancora oggi sono tre le giornate del Carnevale iglesiente e corrispondono a tre apparizioni: durante la sera del primo giorno, le maschere girano per le vie del centro storico con l’intento di liberare la popolazione dalle emozioni negative manifestate durante l’inverno a causa del freddo, della fame, del buio, come il sospetto, l’invidia, l’indifferenza, la testardaggine, la saccenza e intrigo.

Norfieddu, spirito buono ma brutto, girava per la città assieme alle maschere, liberando le persone dai sentimenti negativi ma, visto il suo aspetto, seminava il panico e il suo obiettivo non veniva raggiunto.
Durante la seconda giornata, i personaggi-vittima, coloro che avevano assorbito tutte le negatività, cercavano aiuto e sostegno per il processo che si sarebbe tenuto nella serata finale, la terza, tra le vie del centro.

Norfieddu cercava di aiutarli ma, sempre a causa del suo aspetto, aumentava gli atteggiamenti negativi tra le persone. Chi non veniva spaventato, rideva di lui e lo prendeva per pazzo.

Solo la Dea Madre, che aveva visto in lui la bontà d’animo, lo confortava.
La terza serata, quella più attesa, vedeva l’apparizione di sei maschere tipiche, Suspettosu, Intragneri, Oghiànu, Indiferenti, Corriatzu e Sabiu, e le rispettive vittime davano il via al corteo, al processo, e al rogo.

L’inquisitore processava e condannava Norfieddu perché giudicato colpevole di tutti i mali della città, mentre i veri colpevoli erano proprio l’Inquisitore e le altre maschere.

Mentre il popolo, ignaro di tutto, continuava a crederlo colpevole, la Dea Madre decise di proteggerlo a tutti i costi, sostituendolo con un fantoccio che sarebbe andato al rogo al suo posto, illudendo così la gente di essersi liberata dei mali e riportando gli animi alla normalità.

"Norfieddu scancioffau d'anti abbruxau" urla la popolazione all'unisono, e se ne torna a casa a prepararsi in tranquillità per la Quaresima.

Il processo con rogo a Norfieddu  rappresenta il confronto tra il bello ed il brutto, il buono e cattivo, l’ancestrale e il contemporaneo, e soprattutto insegna che non bisogna mai fermarsi alle apparenze ma andare in fondo a ogni situazione.

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