Alghero

Alghero. Lo sfogo di un cittadino: “Pronto soccorso ‘chiuso’ dopo ore di attesa e pazienti mandati via”

È accaduto domenica 27 agosto. Sardegna Live ha raccolto la testimonianza di un residente che ha atteso per ore il suo turno per poi esser rimandato a casa

Alghero. Lo sfogo di un cittadino: “Pronto soccorso ‘chiuso’ dopo ore di attesa e pazienti mandati via”

Di: Ilaria Cardia


Uno svenimento, un brutto colpo alla testa e la corsa in ambulanza verso il pronto soccorso. Sono queste le motivazioni per cui un uomo residente ad Alghero, che ha scelto l’anonimato per raccontare la sua esperienza, si trovava domenica 27 agosto al pronto soccorso di Alghero (in provincia di Sassari).  

L’uomo, che chiameremo Antonio, ha deciso di raccontare ai microfoni di Sardegna Live quel che a lui è sembrata “Una situazione del tutto surreale in una struttura ospedaliera”.  

I FATTI – Antonio, residente ad Alghero, è svenuto durante un turno di lavoro. Prima di accasciarsi a terra, ha sbattuto violentemente la testa contro un mobile e i colleghi, molto preoccupati, hanno immediatamente chiamato un’ambulanza. “Arrivo al pronto soccorso e vengo posizionato, in attesa della visita, su una barella. Mi è stata misurata la pressione e assegnato un codice. In un primo momento ero solo nella saletta interna, pensavo che sarei stato visitato dopo poco” 

L’ATTESA: “OGNI DIECI MINUTI UN LITIGIO” - Antonio, alle 18:10, inizia ad attendere il suo turno e vede arrivare una persona dietro l’altra: “Non so quante persone ci fossero nella sala esterna all’ingresso, ma ne ho viste arrivare molte all’interno. Dopo qualche ora di attesa, veniamo trasferiti fuori e, quindi, dalla barella vengo fatto accomodare in una sedia; in quel momento incontro persone in attesa dalle 14:30”. 

Trascorrono così la prima, la seconda, la terza sino alla quarta ora. In quell'arco temporale, descritto da Antonio “interminabile”, l’uomo ha visto quel che accadeva: “Persone che giustamente andavano in incandescenza per l’attesa e un’infermiera posta tra noi solo per tenerci calmi.” 

Antonio è molto chiaro nella descrizione “Ho visto nascere e crescere il disagio. Persone che non riuscivano nemmeno a star sedute nelle sedie dal dolore e infermiere che non potevano offrire nessun servizio pronte allo scontro come se stessero ripetendo una scena vissuta altre mille volte. Questo ha innescato inevitabilmente una sequenza di episodi sempre più spiacevoli. Sai, forse questa è una delle cose che mi ha sorpreso di più: il personale sembrava totalmente abituato, passavano dalla gentilezza più estrema alla arrabbiatura in brevissimo tempo. Ogni dieci minuti c’era un litigio.” 

“IL PRONTO SOCCORSO È CHIUSO” – Antonio arriva così alle 22:30 “Ero stremato, provato dallo svenimento e senza niente nello stomaco da molte ore”. In quello stato fisico e mentale, vede arrivare un’infermiera che annuncia alla sala d’attesa “‘Il pronto soccorso è chiuso. Ci sono tre codici rossi, un solo medico e il macchinario della tac è fuori uso. Se avete necessità potete andare alla guardia medica’. E così io, con un bernoccolo in testa, e altre venti persone (sbigottite) siamo andati via sotto una pioggia battente. Se il mio titolare non mi avesse portato da mangiare non sarei stato nemmeno in grado di percorrere il tragitto per rientrare a casa, ero totalmente stremato.” 

“Mi è parsa, senza alcun dubbio, una situazione sistemica – continua Antonio nel corso del suo sfogo - Ci è stato poi riferito che basta un codice rosso per mandare in tilt il pronto soccorso di Alghero. In quella serata erano tre. Mi chiedo come sia possibile che una cittadina con due ospedali, 45 mila abitanti (e non so quanti turisti in vacanza) possa avere in servizio un unico dottore, esattamente come un piccolo paese sardo di duemila anime. Durante l’attesa ho visto una signora milanese, dei ragazzi veneti, due donne che avevano avuto un incidente. Ho provato dispiacere anche per il personale ospedaliero che si trova, probabilmente quotidianamente, a dover lavorare e svolgere la loro professione in queste condizioni. Mi chiedo davvero perché. Eravamo tanti e avevamo bisogno di cure e assistenza che non abbiamo ricevuto.” 

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