Cagliari

Bruno Corda: “Indiscussa voce storica del Cagliari Calcio”

Venerdì mattina. Cagliari. 27 gradi a marzo. Fa caldo. Un buon caffè. Incontro al parco. Bambini che giocano da una parte.

Bruno Corda: “Indiscussa voce storica del Cagliari Calcio”

Di: Francesca Melis


Foto copertina: nonsolofoto

Venerdì mattina. Cagliari. 27 gradi a marzo. Fa caldo. Un buon caffè. Incontro al parco. Bambini che giocano da una parte. Anziani che sfogliano il quotidiano dall’altra. Giovani che fanno jogging. Abbiamo un appuntamento con Bruno Corda.Tutti sanno chi è Bruno. Tutti conoscono la sua inconfondibile voce. Qualcuno lo riconosce. Lo guarda e con un sorriso nostalgico lo saluta. È un uomo che ha sempre tenuto la schiena dritta. Una naturale onestà, una rara passione. Elegante, raffinato e genuino. È prima uomo, poi giornalista corretto. Un giornalista senza peli sulla lingua, di quelli che la verità amano dirla. Attraverso le sue parole, i suoi ricordi, ma con uno sguardo al futuro,  ripercorriamo le tappe della sua onorata carriera.

5 febbraio 1978. Cosa accadde quel giorno?

"Era una domenica. Il giorno prima, il 4 febbraio, ricevo la chiamata dal mio direttore Gian Giacomo Nieddu che mi dice: “ Domani mattina c’è un biglietto aereo a nome tuo per Bologna alle 07:00. Alle 10:30 prendi il treno per San Benedetto del Tronto e alle 14:30 farai la tua prima radiocronaca della partita del Cagliari.” Io tremavo. Non volevo crederci. Fino a quel momento avevo sempre seguito il basket, ma il mio amore è sempre stato per il calcio. La mia avventura come radiocronista a San Benedetto. Ma non mi fecero entrare allo stadio. Non ero accreditato. Non ero ancora giornalista. Eravamo considerati degli abusivi. Riuscì grazie all’intervento di Sandro Angioni, radiocronista di Radiolina, ad entrare allo stadio e a piazzare il telefono di mia mamma. Raccontai così la mia prima partita Sambenedettese – Cagliari, che se non ricordo male finì 0-0."

 Da questo momento diventasti Radiocronista del Cagliari Calcio, ma anche di Radiolina e Radio 24ore.

"Io e Valerio Vargiu siamo diventati i radiocronisti ufficiali delle due emittenti quando Grauso rilevò Radio24ore. Gian Giacomo Nieddu iniziò la sua fortunatissima e bellissima carriera giornalistica come conduttore di programmi di grande successo a Radiolina. A quel punto diventammo unici radiocronisti per lo stesso gruppo. Negli anni Radio24ore scomparve e rimase solo Radiolina."

Come erano organizzate queste prime radiocronache?

"In quegli anni le emittenti private di diverse città si erano consorziate. La nostra radio a Cagliari aveva la sua postazione con due linee telefoniche, quando l’inviato di Bari, Brescia, Cremona, Genoa etc veniva a Cagliari noi mettevamo a disposizione la postazione e il telefono per l’inviato ospite. Quando c’era la trasferta loro facevano la stessa cosa per noi. Non tutti,perché su 20 campi, almeno 8 presidenti non ti permettevano di entrare allo stadio. Non eravamo riconosciuti nel nostro ruolo. Stiamo parlando degli albori, di emittenza privata davanti al colosso Rai.  Si lavorava con mezzi di fortuna, si viaggiava con il borsone e trecento metri di cavo telefonico. Spesso si andava nei palazzi vicini. Mi ricordo a Cesena seguì la partita dalle gradinate dello stadio, ma dovetti lanciare il cavo in una palazzina lì vicino per fare il collegamento. Ma spesso mi è capitato di trasmettere dalle terrazze di Pisa, di Como, dai balconcini delle abitazioni private. All’epoca quasi tutti gli stadi erano immersi dentro la città, quindi era facile trovare queste postazioni di fortuna."

Anni ’90, avvento dei cellulari. Il tuo primo incarico con questo nuovo mezzo?

"Lo ricordo benissimo. È stato l’incarico più bello, perché coincide con la promozione del Cagliari di Ranieri all’Arena Garibaldi di Pisa. Il Presidente del Pisa, la buonanima di Anconetani, non faceva entrare le emittenti private allo Stadio. Fino ad allora avevamo trasmesso sempre  dalla terrazzina privata di questi signori che ci ospitavano. Invece, in quella circostanza, la Radio mi mise a disposizione questa cabina telefonica, il primo telefono portatile utilizzato per una radiocronaca. Maggio 1990. Acquistai un biglietto in curva. Raccontai la partita, che finì con un pareggio 2-2 e la promozione matematica in serie A. Andai dentro gli spogliatoi, praticamente sotto le docce, con questo microfono e intervistai Mario Orrù, un omone in lacrime che piangeva dalla commozione. Questa fu in assoluto la prima trasmissione con il telefonino."

Sei la voce indiscussa storica del Cagliari Calcio. Cosa ti manca di quegli anni?

"Le emozioni che provavo in quegli anni. Io sono un malato di Calcio. Fin da bambino ho sempre giocato e ho sempre sognato il famoso goal di rovesciata. Lasciai il calcio come giocatore perché dal mio paesino mi trasferii a Cagliari, ma anche perché, questa fu una grandissima stupidata,  io ho sempre giocato con il numero 10. Il mio idolo era Rivera. Un allenatore un giorno a Siliqua mi diede la maglia numero 7, fu talmente offensivo per me, anche se, pensandoci oggi, fui proprio un cretino, dal giorno abbandonai il calcio. Avevo 17 anni e per 15 anni non ho più giocato a Calcio. Ho lasciato la mia passione per orgoglio, se ci ripenso oggi mi rendo conto di quanto sono stato stupido. È vero che io ho lasciato il calcio giocato, ma attraverso le radiocronache giocavo le partite. Mi emozionava, perché la vivevo, la giocavo, mentre raccontavo la partita io ero in campo. Se qualche pregio ho avuto in tanti anni, probabilmente è dovuto al mio ricreare queste emozioni, perché forse avevo la capacità di trasmettere con pathos l’avvenimento."

C’è un episodio di quegli anni a cui sei particolarmente legato?

"Sicuramente ricordo l’emozione e la paura del primo incarico nel lontano 1978. In treno, per raggiungere San Benedetto, mi leggevo tutti i giornali per preparami, perché occupandomi di basket pensavo di non essere più sul pezzo. Ci sono diverse tappe indimenticabili. La promozione con Mario Tiddia, un allenatore sardo. La prima volta che intervistai Gigi Riva. Una delle mie più grandi emozioni. Questa figura straordinaria, quasi mitologica, mi incuteva soggezione, tremavo e il braccio con il microfono ballava. Credevo di sognare. Lui mi prese il braccio lo tenne fermo e mi disse “ allora domande?”. Poi negli anni con Gigi siamo diventati grandi amici, abbiamo condiviso pagine e pagine straordinarie del calcio."

 Invece, hai rimpianti legati alla tua carriera giornalistica?

"Il rimpianto più grande è quello di essere stato costretto a interrompere il mio lavoro per cause non dipendenti dal mestiere, ma da una sorta di “mafia” che è entrata nel mondo del calcio. Presidenti spregiudicati, nel caso specifico Massimo Cellino, che per tutelare, bloccare le critiche si serviva di mezzi mafiosi, come quello di comprare o vendere un’esclusiva a patto che non ci fosse Bruno Corda. Non ho mai avuto problemi a raccontarlo, è stato un gesto indegno. Purtroppo il mondo giornalistico  è cambiato. Quindi da un lato c’è il rimpianto, dall’altro per come è cambiato il calcio sono felice di aver vissuto gli anni più belli della libertà di stampa, mi sono divertito e ho goduto nel raccontare gli anni più belli del calcio. Il giornalismo degli ultimi 15 anni non mi diverte più."

 In cosa e come è cambiato negli anni questo mestiere?

"È cambiato  il mondo e di conseguenza è cambiato il  mestiere. Una volta era lo sport che regalava passioni, emozioni. Era uno sport sano, non contaminato dal Dio denaro e dagli interessi privati. Con l’avvento delle sponsorizzazioni, con l’avvento delle grandi televisioni è cambiato tutto lo scenario. Una volta i giornalisti erano liberi di fare critiche costruttive e di esprimere opinioni sempre nel rispetto delle persone sia chiaro. I grandi investimenti hanno modificato tutto. Quando io facevo una radiocronaca, intervistavo dieci giocatori, ero libero di fare domande a chiunque. Oggi, invece, ti impongono chi devi  intervistare e anche le domande da fare. Io non mi identifico più in  quel tipo di giornalismo. Oggi sono felice di essere rientrato in una nuova realtà,  perché mi sembra di tornare indietro di 40 anni quando, insieme a Valerio a radio 24 ore facevamo i cronisti, semplicemente raccontavamo una fatto."

Fare giornalismo in Sardegna. Pro e contro.

"Oggi è uguale ovunque. In Sardegna siamo pochi, perché ci sono poche aziende, ma la nostra regione è sempre stata il fiore all’occhiello. Le emittenti private Radiolina all’epoca, Videolina e Sardegna1 hanno sempre avuto un occhio di riguardo a livello nazionale, sia per la qualità dei programmi, che dei servizi che offrivano agli utenti. Quindi i giornalisti in Sardegna hanno sempre avuto un ottimo ruolo, le emittenti sono state buone scuole corredate da buoni maestri. Noi per esempio non abbiamo fatto una scuola, bensì abbiamo rubato, carpito dai nostri colleghi più anziani le loro metodologie lavorative.

Io racconto sempre questo episodio. Franco Brozzu , era l’inviato dell’Unione Sarda, aveva vissuto in prima persona lo scudetto del Cagliari. Io quando ho iniziato ero un ragazzino e da appassionato quale ero, vedere i calciatori era un’emozione pazzesca, chiedergli l’autografo era la regola, insomma essere a contatto con loro mi faceva sentire “ grande”. Questo grande giornalista una volta mi disse:“ dove alloggi questa volta?”, io risposi “ Alloggio all’hotel barchetta di Como” “ Ah con il Cagliari” mi disse,  “ Si con il Cagliari”, confermai.  Disse:  “posso darti un  consiglio? Dovresti evitare di frequentare la squadra, se vuoi essere libero e non vuoi avere condizionamenti. Se tu la sera sei con un calciatore del Cagliari e stai chiacchierando , stai legando un determinato tipo di rapporto, se poi l’indomani il giocatore fornisce una prestazione negativa tu sei condizionato nel commentare perché hai parlato con lui fino alle 11 della sera.”  Io a malincuore raccolsi quel consiglio, mi piaceva stare a contatto con loro, respirare il loro ambiente, però capì che, per essere un buon giornalista, devi essere libero, metterti in una zona asettica e non rischiare nessun tipo di condizionamento e coinvolgimento."

Oltre Franco Brozzu, chi erano i “grandi” giornalisti dai quali rubavi e carpivi il mestiere?

"Pur non avendoli frequentati direttamente i miei maestri sono indiscutibilmente Sandro Ciotti e Enrico Ameri, i più grandi radiocronisti della storia, della radio in Italia. Mentre tra i colleghi con cui ho lavorato sicuramente Nisio Mascia, con il quale ho viaggiato per 30 anni, siamo stati inviati insieme. Lui è sempre stato molto distaccato,quasi imperturbabile. Racconto sempre con curiosità l’unica esplosione di gioia che ebbe  al Marassi, quando la Sampdoria di Vialli e Mancini  vinceva 2-0 contro il Cagliari e Daniel Fonseca con una doppietta riuscì a pareggiare. Nisio esplose e perse la sua compostezza. Lui è davvero non solo un ottimo giornalista, ma anche una persona squisita. L’altro grande collega è Nanni  Boi, la mia spalla straordinaria. La mia enciclopedia."

 Il miglior presidente che il Cagliari abbia mai avuto?

"Di quelli che ho conosciuto io, dal 1975 in poi, sicuramente la famiglia Orrù." 

Da pochi anni è sbarcato al Cagliari Tomaso Giulini, un presidente giovane e attento alle esigenze e alle tradizioni della squadra e della società. Ti piace questo presidente?

"Al suo arrivo ero condizionato dal fatto che uscisse di scena Cellino, presidente che non ho mai amato, in quanto utilizzava sistemi che non hanno nulla a che vedere con lo sport e con il calcio. L’impatto iniziale di Giulini mi era piaciuto. Ora sto vivendo una situazione, un momento di verifica. C’è chi si sbilancia e afferma che sia il più bel presidente, il più giovane, il più bravo, io voglio ancora capire. Sono in un momento di riflessione, voglio ancora capire chi è, non ho ancora ben inquadrato i veri programmi di questo presidente."

Rastelli?

"Rastelli mi piace molto come uomo, come persona. Mi piaceva molto come giocatore quando metteva le scarpette con i tacchetti bullonati, come allenatore non l’ho mai amato. Non mi piace il gioco di Rastelli, non l’ho neanche mai capito in realtà. Non ho mai visto, gioco, veri schemi.  È sicuramente una persona onesta. Una persona molto corretta perché a differenza dei tanti allenatori che ho incontrato nella mia carriera, che si facevano quasi tutti condizionare dagli organi di stampa. Spesso, avendo paura dei giornalisti,  davano loro le soffiate, annunciavano la formazione  ad uno sì all’altro no.  La cosa che ammiro di questo allenatore, oltre alla serietà, è la sua grande onestà. Lui non ha mai offerto a nessuno questo privilegio, ha fatto sbagliare tutti allo stesso modo. Calcisticamente non mi piace il modo in cui fa giocare il Cagliari, ma come persona mi piace molto."

Cosa pensi invece del Cagliari di oggi?

"Non è più la società con cui lavoravo 40 anni fa, quando si lavorava insieme per lo stesso obiettivo. C’era un rispetto dei ruoli. Quando io ho iniziato si parlava solo di sport, oggi si parla solo di interessi. Per quanto riguarda la squadra io, a giugno, in tempi non sospetti, in una trasmissione televisiva dichiarai che è stata creata una rosa straordinaria. È stato confermato il meglio dei calciatori della serie B, integrati con calciatori di grande esperienza come Bruno Alves, Borriello, Padoin, Isla e Ionita. Quando ti presentano una squadra di questo calibro non puoi far altro che applaudire Giulini e Capozucca. Ecco perché non sono un ammiratore di Rastelli. Con questo tipo di squadra il Cagliari avrebbe dovuto chiudere a 50-55 punti in questo campionato. Rimprovero a Rastelli il suo essere troppo pauroso, poco coraggioso. Era l’anno ideale per regalare spettacolo, osare  di più, perché è una squadra forte alla quale a causa dei troppi cambiamenti di ruoli proposti manca un’identità."

Oltre Gigi Riva, qual è l’altro personaggio a cui ti senti fortemente legato?

"Degli allenatori dopo Mario Tiddia sicuramente Ranieri,persone che però ho sempre frequentato solo professionalmente. Mai un caffè fuori dal lavoro. Come calciatori ho un legame speciale con Gigi  Piras, sia perché siamo coetanei, sia perché è un attaccante come lo ero io da ragazzo. Così come anche Muzzi e Oliveira. Un altro che ricordo con affetto è Pietro Paolo Virdis. Nel 1977, quando io conducevo una trasmissione musicale su Radio 24ore, riuscì ad avere uno scoop. Ero in Radio e mi arrivò una chiamata da Giovanni Manconi, il proprietario del Ristorante Lo Scoglio. Pietro Paolo Virdis rifiutò il trasferimento alla Juventus, Manconi intercettò, durante la cena, la notizia e io la annunciai in diretta."

Valerio Vargiu. Amico e collega da oltre quarant’anni.

"Quando sono arrivato, lui lavorava a Radio 24 ore. Io lavoravo in una piccola radio:  Radio Discoteca di Assemini. Facevo una trasmissione sui Beatles e lì fui scoperto da Gian Giacomo Nieddu, che mi volle nella sua radio. Valerio si occupava già di Sport. Un giorno Gian Giacomo fece un’irruzione mentre io mandavo in onda Lady Be e mi disse: “conosci il Basket? Lo vuoi seguire?” , risposi “sì”. Creò  questa coppia Vargiu- Corda.  Commentammo insieme prima le partite di Basket e dal 1978 le partite del Cagliari. Nel frattempo Valerio è diventato anche il mio testimone di nozze. Così simao cresciuti insieme. Spesso siamo in contrasto, perché abbiamo idee sul calcio e sui calciatori diverse. Forse questa diversità di vedute è servita a rafforzare un rapporto e a creare questa coppia vincente. Infatti, siamo ancora qui."

C’è un collega con cui avresti voluto lavorare o ti piacerebbe farlo in futuro?

"Ho avuto la possibilità di lavoricchiare con Giorgio Porrà, quando io facevo l’inviato e lui conduceva Videolina Sport. Partecipavo alle sue trasmissioni portando le interviste , i contributi delle trasferte.  Giorgio è un giornalista di grande spessore, di grande cultura e professionalità, mi sarebbe piaciuto lavorare più intensamente con lui."

Bruno Corda in tre parole.

( ci pensa). "È difficile però! Sicuramente un po’ pazzo. Pazzo per il calcio. Sono una persona leale. Sono sempre me stesso, pur commettendo tanti errori sono sempre Io. Sono un istintivo. In tutto ciò che faccio spesso “ci azzecco”  per dirlo alla Biscarsi, ma spesso sbaglio per questa mia istintività."

 Il tuo sogno nel cassetto?

( sorride). "Ormai sono diventato velista, quindi il mio sogno è partire da Cagliari con la mia barca e attraversare l’Atlantico. Costeggiare la Francia, la Spagna , lo stretto di Gibilterra prendere gli alisei e arrivare in America.  Vorrei farlo, ma non da solo,  ma con un bel gruppo di amici."

  Idee e progetti per il futuro?

"Giornalisticamente parland, sono ancora molto giovane. Io e Valerio ci divertiamo ancora tanto. Un po’ come fanno i calciatori, quando chiudono la carriera vogliono scoprire nuovi talenti, quindi aprono una scuola calcio e il loro sogno è quello di far nascere un nuovo Oliveira, un nuovo Roccotelli, un nuovo Zola, un nuovo Matteoli. Il mio progetto, sogno è un po’ in atto. Quello che abbiamo inventato casualmente con Valerio tre anni fa, ossia scoprire i futuri Bruno Corda e Valerio Vargiu. Siamo sulla buona strada."

 La partita che avresti voluto commentare ?

 Cagliari- Bari , 12 aprile 1970. Gigi Riva che segna il goal dello scudetto.

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