PHOTO
Il tempo, per la famiglia di Marco Mameli, si è fermato la sera del 1° marzo. Da allora, ogni giorno è un ritorno a quella notte in cui la vita di un ragazzo di 22 anni, operaio di Ilbono, è stata spezzata da tre coltellate. In via Santa Cecilia, a Bari Sardo, mentre il carnevale riempiva le strade di musica e colori, Marco moriva in silenzio, colpito nel cuore, nel fegato e al costato. Non ha avuto scampo, né possibilità di difendersi. Lo ha confermato anche l’esame autoptico: un’aggressione brutale, fulminea, che lo ha strappato per sempre ai suoi cari.
A distanza di settimane, sua madre, Simona Campus, rompe ancora una volta il silenzio con parole che affida a un post su Facebook, insieme urlo di dolore e richiesta di giustizia:
“Noi siamo ancora lì, fermi a quella notte in cui siamo stati avvisati che era successo qualcosa a Marco. Quando siamo arrivati, Marco era lì, disteso a terra, già coperto da un telo. Nostro figlio… Il mio ragazzo, che era uscito per una serata di festa ora era lì, immobile, freddo, solo.”
“Siamo stati privati anche della consolazione dell’ultimo abbraccio, dell’ultima carezza. Nessun genitore dovrebbe vivere una scena del genere. In quel momento il mondo si è spento per noi. Ci siamo ritrovati a vivere in un incubo reale, da cui non ci sveglieremo mai.”
Ma a ferire, oltre alla perdita, è il silenzio. Il muro di omertà che ancora circonda quel delitto.
“Eppure c’è ancora chi protegge chi ci ha procurato tutto questo dolore, chi sa e tace. Noi siamo sempre fermi lì, a quella notte, già condannati all’ergastolo del dolore.”
Simona non ha dubbi:
“Mi fa male dire che l’unica persona che non può parlare sia Marco. Ma se fosse successo a un altro ragazzo, lui avrebbe parlato, senza paura. Perché lui era così, sincero, onesto, giusto, amico.”
A chi ha colpito suo figlio, manda un messaggio diretto:
“Tu non avrai pace.”
E a chi tace:
“Portatevi pure questo silenzio sulla coscienza. Ma sappiate che la verità prima o poi emergerà.”