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Pillole di Bellezza: gli Anni’ 60 e le donne “gamberetto” e “grissino”

L’inseguimento della magrezza estrema e dell’eterna adolescenza

Pillole di Bellezza: gli Anni’ 60 e le donne “gamberetto” e “grissino”

Di: Alessandra Leo


Mentre negli Anni’ 50 le donne formose, Marilyn Monroe su tutte, erano considerate delle vere e proprie icone di bellezza, a partire dagli inizi degli Anni’ 60 c'è stato un cambio di rotta verso la magrezza. Con il passare del tempo le modelle, e di conseguenza tutte le altre donne, divennero sempre più snelle.

Si diffuse la cultura dello sport: i fisici femminili diventarono sempre più tonici e scattanti, la donna ideale divenne un’eterna adolescente agile e filiforme come la Flapper degli anni Venti, e le gambe sottili vennero messe in mostra da minigonne sempre più corte.

L’estremizzazione della bellezza femminile verso canoni filiformi, definiti “a banana”, avvenne con il successo della modella inglese Twiggy, magra ai limiti dell’anoressia, e con uno stile da adolescente sbarazzina, priva di forme femminili.

Gli Anni ’60 furono dominati dall’incredibile evoluzione del cinema, che ricominciò a sfornare modelli e icone da copiare come l’esile e bella Audrey Hepburn. Nella moda, giovanissime modelle divennero simbolo di quest’era: Jane Shrimpton (detta Shrimp, gamberetto) e la già citata Lesley Hornby, alias Twiggy (legnetto).

L’eterna giovinezza

Negli Anni' 60, accanto alla ricerca della magrezza esasperata, l’attenzione per l’igiene personale era al massimo, così come la produzione di creme di bellezza. Le aziende producevano sempre nuovi cosmetici, applicando nuove ricerche, nuove tecnologie, nuove materie prime.

Le creme idratanti promettevano miracoli contro i primi segni di invecchiamento cutaneo, la cancellazione e la prevenzione delle rughe o un aiuto per pelli “offuscate” stanche e impoverite: la ricerca dell’eterna giovinezza fu al primo posto in una società che adorava lo stile adolescenziale.

Gli ingredienti utilizzati per questi primi cosmetici dell’era moderna erano: glicerina, oli vegetali, placenta, gelèe royale, composizioni ricche e diversificate a seconda del tipo di pelle e dal tipo di utilizzo della stessa se per giorno o sera.

La casa cosmetica Nivea prometteva idratazione, suo concetto cardine già dagli Anni’20, ma molto famosa in quel periodo divenne Innoxa,  con linfa di serpente: una composizione in grado di far cambiare la pelle esattamente come fanno i rettili.

La creazione di formulazioni Bio era molto attiva in quegli anni e l’utilizzo di sostanze naturali e vegetali riscuoteva file di adepte: una delle più famose era Biokosma con la linea Bellidis.

Per le pelli sensibili e tendenti alle allergie, le marche come Bio Beauty e Harriet Hubbart Ayer crearono linee di cosmetici con formulazioni più delicate.

Nel 1962 si iniziarono a produrre formulazioni adatte a pelli con cuperose, macchie dovute ad un’eccessiva esposizione solare, macchie dovute ad un cattivo metabolismo del fegato e quelle causate da ormoni durante la gravidanza: tra le più conosciute la Drula, crema tedesca del Dr. Druckrey.

Diversi prodotti, come Salbanose, Salba a.c., Clerasil, Druca, erano capaci di donare alla pelle un incarnato uniforme, sano e luminoso.

Il make up

Le esigenze delle donne mutarono con i cambiamenti del loro stile di vita e, quando la forza lavoro iniziò a essere composta anche dall’universo femminile, queste manifestarono la necessità di prodotti veloci da stendere e semplici da applicare.

Si utilizzavano infatti fondotinta leggeri, per uniformare e dorare la pelle, e fard in gel per non ostruire i pori: l’epidermide non doveva essere coperta del tutto e le lentiggini diventarono un simbolo di libertà che rispecchiava il momento storico: il ritrovo pacifista di Woodstock e la Factory di Andy Warhol. Fu anche il periodo storico in cui giovani visagisti diventarono i più affermati Make up artists.

Il make up degli Anno’60 era decisamente concentrato sugli occhi, enfatizzati sino all’estremo da linee geometriche che definivano la piega palpebrale per dare un aspetto grande e rotondo.

Le palpebre spesso venivano sbiancate, per accentuare l’effetto pittorico dato dalla piega dell’occhio così marcata.

Le ciglia erano rigorosamente lunghissime e folte: spesso venivano applicate quelle finte sia sulla rima ciliare superiore che su quella inferiore, o venivano disegnate sulla rima inferiore per dare un effetto “occhio da cerbiatto” ancora più esagerato.

L'ombretto giocò un ruolo fondamentale in questa decade: sia le ragazze giovani che le signore un po’ avanti con gli anni giocavano con i colori più vivaci: dal blu al giallo, bianco, nero e dall’arancione al verde.

Le case cosmetiche pubblicizzavano le loro formulazioni di ombretto, tendenzialmente in crema, mostrando vari look drammatici e pieni di colore per tutte le occasioni.

Le celebrità nostrane e d’oltreoceano cominciarono ad enfatizzare i loro occhi con trucchi pesantemente marcati, eye liner molto spessi e sfumature geometriche intorno ad essi.

Mina, truccata da Stefano Anselmo, estendeva con delle linee sfumate verso il basso i suoi occhi, e depilava le sopracciglia rimuovendo la loro espressività, acquisendo così un’aria triste e drammatica, in modo da trasmettere visivamente il messaggio contenuto nelle sue canzoni, così sentimentali e malinconiche.

Sophia Loren è famosa per i suoi occhi felini estesi verso l’alto, sapientemente delineati, dalla mano esperta di Francesco Freda, con linee convergenti che creano
l’effetto ottico della verticalità, accentuati a loro volta dalle sopracciglia, disegnate pelo per pelo con delle pennellate verticali.

In quel decennio era raro vedere rossetti rossi, mentre quelli nude dominavano la scena.

I capelli

Negli Anni ’60 esplose la tendenza al Pixie Cut, il taglio “da folletto” reso popolare da attrici come Mia Farrow: sbarazzino, moderno ed androgino proprio come voleva la moda!

Spopolavano inoltre pettinature molto voluminose, rese tali da quintali di lacca (sicuramente il buco dell’ozono allora non era un problema!)

In quel periodo erano in tante a provare il biondo, per scelta di stile o anche solo per stupire: alcune cantanti afroamericane, come Etta James, sono le miglior testimonial in questo senso.

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