In Sardegna

Il diavolo nei racconti sardi: ecco come l'emblema del male veniva tradizionalmente percepito

Causa di mali e infermità: poteva apparire in svariati modi e la sua presenza veniva percepita anche dagli animali. Sono numerosissimi i nomi coi quali viene tradizionalmente chiamato in Sardegna

Il diavolo nei racconti sardi: ecco come l'emblema del male veniva tradizionalmente percepito

Di: Giammaria Lavena


La figura del diavolo rappresenta da sempre il male per antonomasia. Nelle religioni viene rappresentato come un’entità spirituale malvagia e tentatrice, contrapposta a Dio e al bene. Il termine deriva dal latino diabŏlus, traduzione fin dalla prima versione della Vulgata (fine IV - inizio V secolo d.C.) del termine greco Διάβολος, diábolos (“dividere”, “colui che divide”, “calunniatore”, “accusatore”). Questo termine fu usato per la prima volta nel III secolo a.C. per tradurre, nella Septuaginta (versione dell’Antico Testamento in lingua greca), l'ebraico Śāṭān, reso negli scritti cristiani come Satanas e qui inteso come “avversario”, “nemico di Dio”.

La figura del demonio è stata dunque tramandata presso tutte le culture e religioni, entrando a far parte anche di leggende e racconti fantastici di più e più tradizioni. Fra queste non poteva mancare quella sarda, della quale miti e credenze sono linfa vitale, e che nel diavolo riconosce diverse creature, che assumono a loro volta i nomi più disparati a seconda delle caratteristiche o del tipo di manifestazione. I più comuni sono: diaulu, duengu, demoniu, aremigu, lu bekku, zampa di addu, coixedda, coa de fogu, bestia, puzzinosu, tentadori, foras de nosu, foras domine, bobboi, momotti, maschinganna, bruttu. Tutte figure associate per un motivo o per l’altro, in parte o completamente, a quella del “nemico di Dio”. 

FORME E APPARIZIONI. Fra i nomi elencati si può notare come, oltre ai classici appellativi in lingua sarda, se ne affianchino alcuni che solo riconducibili allo stesso solo per intuizione o per conoscenza: questo perché nella tradizione orale si era soliti adottare soluzioni per non nominarlo direttamente, nel timore che potesse apparire. Esso veniva pertanto indicato citando caratteristiche e conformazione (e quindi, ad esempio, “zampa di gallo”, “codetta”, “coda di fuoco”, “puzzolente”). Era infatti credenza sarda, e non solo, che il diavolo si materializzasse al solo farne il nome, e veniva immaginato e descritto nei suoi rapporti con gli uomini piuttosto che nel suo naturale ambiente infernale. Nei numerosi racconti sulle apparizioni del demonio giunti sino ai giorni nostri vengono descritte le forme ingannevoli con cui esso si manifesta. Poteva rivelarsi sotto forma di vecchia o di un bambino piangente che, al nome di un santo o al segno della croce, si trasformano in una lingua di fuoco. E ancora: un bue incatenato, un cane, un caprone, un cavallo, un cinghiale, un gallo o un vento impetuoso.

CONSEGUENZE DELL'INCONTRO. Non era frequente che Satana apparisse, ma, secondo la tradizione, vi sarebbero alcuni giorni prediletti da esso per mostrarsi agli uomini: su tutti la notte del Sabato Santo, oppure le vigilie di San Giacomo e di San Giovanni Battista, soprattutto nei crocevia, nei cimiteri, presso le chiese sconsacrate o sotto le piante di fico. Se solitamente lo si indica come possessore di anime o tentatore, nelle leggende isolane più che di patti col diavolo si parla di “incontri con il nemico”, che provocano terrore e conducono in uno stato di debilitazione fisica e psichica. Per questo motivo, alcune malattie (soprattutto di natura mentale) venivano considerate conseguenza di un incontro col demonio. Poteva trattarsi di forme isteriche o di epilessia, turbamenti della personalità che non comportano necessariamente una malvagità dell’infermo o un suo peccato da scontare, ma che erano naturale sintomo dell’infernale incontro. 

TESTIMONIANZE. Quando spariva qualcosa, in Sardegna si usava affermare che fosse stato rubato da sa Coixedda, uno dei nomignoli con cui veniva chiamato il diavolo un nomignolo del diavolo. Tuttavia, in questo caso non s’intendeva parlare di un essere particolarmente malvagio, ma piuttosto di un furbacchione dispettoso, sempre pronto a rendere le situazioni scomode e complicate. Pare inoltre che gli animali avvertissero la sua presenza, e quando questi si rifiutavano di passare in certi punti era perché ne vedevano l’ombra o ne percepivano la vicinanza, inducendo così gli uomini a prendere altre vie. È proprio quanto si racconta ad Ales, dove pare che un pastore incappò nel diavolo mentre arava i campi, quando i suoi buoi si rifiutarono di proseguire il percorso. Sono numerose le testimonianze nell'Isola, e ancora oggi c'è chi afferma di averne avuto esperienza. Fra sacro e profano, realtà e commistioni: il diavolo è, anche in Sardegna, la figura che più emblematica quando si parla di spiriti maligni. 

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