Ravenna

Anoressia: la storia di Deborah che è riuscita a sfuggire alla malattia

“Avevo 16 anni e una sera un'amica mi disse che dovevo "vergognarmi" ad andare in giro con i pantaloni attillati perché avevo i fianchi larghi”

Anoressia: la storia di Deborah che è riuscita a sfuggire alla malattia

Di: Sabrina Cau


In Italia tre milioni di persone soffrono di disturbi alimentari,  il 95% sono donne. Il “mal di cibo” è una vera e propria patologia, fortunatamente curabile, sempre  a patto che l’indifferenza e la superficialità non continuino a minare la rete di cura che in Italia è ancora troppo debole. Un mostro che divora le sue vittime dall’interno e le uccide perché, in fondo, sono loro a dargli il permesso di farlo, questa è l’anoressia. Deborah Dirani, aveva 16 anni quando quel mostro ha sconvolto la sua vita. “Ero una ragazzina sciocca e secca e i fianchi non sapevo neanche cosa fossero. Avevo però quell'insicurezza tipica delle adolescenti che sfogliano i giornali di moda e sospirano guardando la perfezione dei corpi delle giovani modelle" scrive in un suo articolo. Oggi è una bellissima donna di 48 anni,  è sposata, fa la giornalista e vive a Ravenna. É riuscita a dare scacco matto a quel mostro che fa tanta paura e vuole condividere la sua esperienza nella speranza di poter aiutare chi,  in questo momento,  è vittima di una strage silenziosa che si consuma giorno per giorno, in una società che non è sempre pronta ad affrontarla.

Deborah si racconta  ai microfoni di Sardegna Live e lo fa  a cuore aperto e senza filtri, mettendo a nudo una parte di sé ancora profondamente ferita, ma al tempo stesso, diventata un grande punto di forza.

Ciao Deborah, cos’è per te l’anoressia?

“È una malattia devastante e mortale. Una tragedia a cui difficilmente riusciamo a dare l’attenzione che merita”

C’è stato un momento particolare che ha scatenato il rifiuto del cibo?

“Si, ricordo tutto perfettamente, come se fosse successo pochi istanti fa. Avevo 16 anni,  era giugno alla fine della scuola, e con un gruppo di amiche abbiamo deciso di andare a ballare, perché un sabato al mese i nostri genitori ci davano il permesso. Io quella sera indossavo un paio di pantacalze (all’epoca si chiamavano così) nere con delle rose rosse e un top nero molto semplice tipo canotta. Ero molto magra, non avevo curve.. un’asse da stiro, ma ero molto complessata. Questa ragazza, al contrario, era un po’ sovrappeso e con cattiveria mi disse: "Ma non ti vedi che fai schifo? Hai i fianchi larghi”. Fu una cosa devastante tanto che da quel momento la mia percezione davanti allo specchio cambiò, mi vedevo obesa. I miei occhi mi riconoscevano grassa e così smisi di mangiare. Le rassicurazioni delle amiche che mi volevano bene, dei miei genitori e di qualche fidanzato non servivano a niente. Iniziai perfino a sputare nel tovagliolo quello che mettevo in bocca per poi farlo sparire nella tazza del water, appena i miei genitori si distraevano”.

Chi si è accorto per primo di questo tuo disagio?

"Mia madre si accorse immediatamente che qualcosa non andava in me perché  andavo in giro con il giubbotto in jeans legato in vita, lo portavo anche in spiaggia sopra il costume da bagno. Io ho una madre “generale”, lo è ancora oggi (ride), un giorno si accorse che sputavo il cibo nel tovagliolo, mi prese a schiaffi e cominciò ad imboccarmi e a costringermi a stare seduta a tavola per due ore “Finché non hai digerito non ti alzi” mi diceva. Piangevo, urlavo, ma lei era irremovibile e arrivò addirittura ad imboccarmi. Solo dopo le due ore potevo alzarmi dal tavolo e continuare la mia giornata. Devo dire che non credo che questa soluzione sia efficace con tutti, ma a me ha salvato la vita”.

Spesse volte dietro l’anoressia c’è un desiderio di perfezionismo, pensi che sia stato così anche per te?

“Io sono una perfezionista, lo sono ancora oggi. Ho 48 anni, il mio corpo non è più quello di quella ragazzina di 16 anni, ma quando mi guardo allo specchio non sono del tutto serena, poi però me ne frego. Tuttavia, direi una bugia se dicessi che non vorrei essere perfetta. Provo ad esserlo, ma non ci riesco, anche se ho imparato che in realtà nessuno lo è, nemmeno le immagini che ci vengono proposte come perfette corrispondono alla realtà”.

Cosa ti ha fatto capire che era arrivato il momento di reagire e di guarire?

“Ad un certo punto mi si è riaperto lo stomaco, anche perché imboccata a forza da mia madre…(ride). Io non sono brava con il cibo in generale, non amo cucinare e non ho nemmeno una buona educazione alimentare, molto importante nei bambini. Io non l’ho avuta perché sono sempre stata una bambina inappetente quindi, ad un certo punto, purché mangiassi andava bene tutto. Adesso peso 52 chili, ma se mi guardo allo specchio, alcune volte, mi vedo grassa e mi rendo conto che la mia mente continua a voler cadere in quel tranello”.

Pesi 52 chili e ti vedi grassa, fai anche le diete quindi?

“Si, inizio le diete che durano non più di 15 giorni, perché poi mangio quello che voglio”.

Fortunatamente, mi permetto di dire

“Esatto, non ho più pianto davanti allo specchio…mai più.

Quali sono secondo te i pregiudizi comuni legati ai disturbi alimentari?

“Purtroppo i disturbi alimentari sono visti come malattie del benessere, quasi capricci. Siamo abituati a considerare  malattie “vere” solo i tumori, gli infarti, l’Aids, il Covid etc. Ma ci sono patologie che colpiscono la sfera emotiva e mentale e non sono meno gravi di altre perché anch’esse possono condurre alla morte. Di anoressia si muore e non si sceglie di essere anoressiche, così come non si scegli un tumore. Ribadisco l’anoressia è una malattia mortale!”.

Si può fare prevenzione in questo campo?

“La prevenzione inizia dalla famiglia, cioè dall’attenzione da parte dei genitori rispetto ai disagi che manifestano i loro figli, che possono essere più o meno intensi. Se l’intervento è tempestivo, forse si riesce a non precipitare in quella spirale di buio in cui vivono le persone anoressiche e con disturbi alimentari, insieme alle loro famiglie.

Il mondo dell’informazione, della moda e dei social hanno evidentemente una parte di responsabilità.

Certo, soprattutto quando sei una ragazzina e considerando che l’anoressia è la manifestazione evidente di un disagio interiore che non è solo quello del rifiuto del cibo o del desiderio della magrezza e della perfezione, proporre continuamente delle immagine di bellezza così irraggiungibili e proporle come se fossero la norma non aiuta chi ha a che fare con un processo di accettazione di sé e, che nella preadolescenza, comincia a guardarsi allo specchio. Oggi, ancora di più rispetto a 32 anni fa, questo processo si è spostato indietro nel tempo perché nelle giovanissime il confronto con l’immagine di loro stesse avviene molto prima, in un momento in cui hanno una capacità di elaborazione del pensiero critico molto più immatura e questo provoca ancora più danni.  Parliamo, infatti,  di “bambine” che iniziano a vedersi dei mostri,  che vengono prese in giro e bullizzate e si convincono che il problema sia il loro aspetto e non la loro fragilità emotiva”.

Cosa ti senti di dire a chi si riconosce in questa tua  esperienza di vita?

“Vorrei dire che esiste un rimedio a tutte le malattie. Il primo passo per ogni processo di guarigione è riconoscere di avere un problema e chiedere aiuto. Reclamare aiuto è un grande atto di coraggio, noi siamo abituati a pensare che chi chiede aiuto è un debole, in realtà è debole chi non lo fa. Nessuno deve vergognarsi di avere una malattia, qualunque essa sia, perché le malattie non si scelgono, capitano e basta. “Non riesco più a mangiare come penso che dovrebbe essere corretto fare”;  “Mi vedo grassa”; “Non ho più voglia di vivere”; “Non voglio più uscire” sono tutte emozioni delle quali non bisogna vergognarsi. Esistono tante persone disposte ad aiutare chi cerca di uscire da una spirale devastante come quella dell’anoressia e dei disturbi alimentari in generale. Sono disturbi importanti che hanno bisogno di attenzione, cure e rispetto. Spero vivamente che si smetta, una buona volta, di pensare che tutte le malattie che hanno bisogno di un dottore del cuore e della mente (come le chiamo io), non siano importanti come le altre e di vedere chi soffre di queste patologie come  persone sciocche che hanno “scelto” di averle. Sarebbe un importante primo passo”.

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