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L’esordio in Serie A con la maglia del cuore, la possibilità di rappresentare la propria terra. Per un sardo che veste la casacca del Cagliari è sempre un’emozione particolare. L’identità che lega alla un calciatore cresciuto nel capoluogo isolano alla sua città è sempre differente, quasi unica. Così è stato anche per Nicola Murru, che nel 2011, a soli 17 anni, esordì in Serie A con i rossoblù portando in campo con sé il bagaglio di sogni e speranze che accompagna un ragazzino che per la prima volta assapora il professionismo.
E’ stata una bella storia, che racconta di 107 presenze a Cagliari. Forse non del tutto compiuta, a volte non corrisposta dal tifo, ma comunque speciale: come spesso capita, quando a rappresentare la maglia è un ragazzo cullato, cresciuto e svezzato fra le mura casalinghe, il carico di pressioni e aspettative è doppio rispetto a quello dei compagni. Così dopo 6 anni, nel 2017 Murru saluta la Sardegna, per dar seguito alla carriera fra Torino e Sampdoria, club quest'ultimo in cui ha militato sino al 2024, prima dello svincolo. Oggi l’ormai trentenne è in attesa di una nuova esperienza, dopo un anno senza squadra, e ha raggiunto la maturità per poter fare un bilancio della carriera, partendo proprio da Cagliari.
Così, ai microfoni di Cronache di Spogliatoio, il difensore ha raccontato i suoi anni in Sardegna, fra timori e ambizioni. Lo ha fatto rivelando un sogno comune: “A volte con Barella e Deiola sognavamo un Cagliari come l’Athletic Bilbao, solo con giocatori sardi – ricorda –. Dicevamo: ‘Pensa un po’ come sarebbe’. La Sardegna è l’unico posto in cui potrebbe accadere”. Un progetto, però, difficilmente realizzabile senza programmazione e unità di intenti, ma, a determinate condizioni, certamente perseguibile grazie a dinamiche socio-culturali che trovano affinità con aree come quella dei Paesi Baschi, culla del Bilbao. Di questo avevamo parlato qui, raccontandovi il lavoro di squadra dietro il Cagliari Primavera vincitore della storica Coppa Italia.
Murru è poi tornato ai primissimi istanti in prima squadra: “Quando sono arrivato c’erano modelli di riferimento come Conti, Cossu, Agostini e Pisano”, racconta a Cronache. Il momento più bello “quando abbiamo vinto il campionato di Serie B. E’ stato il punto massimo, Soprattutto perché siamo risaliti subito dopo la retrocessione”.
Il feeling col gol, complici ruolo e caratteristiche, non è mai sbocciato: “Ho segnato il primo dopo 256 partite giocate, un’eternità!”. E racconta un simpatico aneddoto: “In tanti mi dicevano: ‘Vuoi fare come Agostini che ha finito la carriera senza mai segnare un gol?’”. Ora l’obiettivo tornare in campo dopo un anno: “Voglio un’altra occasione. Mi manca l’atmosfera della domenica”, conclude.