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"Ha tentato il suicidio? Quando uno non ci riesce vuol dire che non ci ha provato bene. Chi si vuole suicidare, si suicida. Come sta? Non lo so, non ci parlo. Non parlo con lui, non parlo con l'avvocato di mio figlio e non parlo con il padre di mio figlio".
Sono le parole di Nicolina Giagheddu, madre di Emanuele Ragnedda, l'imprenditore 41enne di Arzachena reo confesso del femminicidio di Cinzia Pinna, la 33enne di Castelsardo uccisa nella notte dell'11 settembre scorso.
La donna era presente oggi, giovedì 9 ottobre, al porticciolo di Cannigione, durante le indagini condotte dai carabinieri del Ris di Cagliari sullo yacht "Nikitai" della famiglia Ragnedda. La signora Giagheddu ha confermato la sua ferma condanna per le azioni che sarebbero state compiute dal figlio, "Questa è casa mia, non di Emanuele, sembra che tutto sia di Emanuele ma le cose sono della famiglia", ha detto ai cronisti.
"Non credo alla difesa da un'aggressione (come invece ha sostenuto il padre di Ragnedda, ndr). Non ho dubbi, non ho mai avuto dubbi in vita mia. Mio figlio avrebbe dovuto assumersi subito le sue responsabilità. Fosse successo a me avrei chiamato subito il 112, non doveva andarsene in giro. Non credo al panico, non ci credo a queste cose".
"L'avvocato ha presentato istanza di scarcerazione già venerdì o sabato. Certo che non sono d'accordo, credo che chiunque non sarebbe d'accordo", ha detto.
"Chiedo perdono alla famiglia Pinna, per non aver salvato Cinzia", ha concluso Nicolina Giagheddu.