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Tempio Pausania si è fermata, avvolta da un silenzio carico di dolore, per dire addio a Gaia Costa. La cattedrale di San Pietro non è riuscita a contenere tutte le persone giunte per l’ultimo saluto alla ragazza di 24 anni, travolta e uccisa da un’auto mentre attraversava la strada a Porto Cervo. Familiari, amici, semplici cittadini: in tantissimi si sono stretti attorno a mamma Debora, papà Alfredo e al fratello Roberto, nel giorno più difficile. Ecco l'omelia di don Efisio Coni:
"Cari Debora, Roberto e Alfredo,
familiari e amici tutti di Gaia,
Signor Sindaco, distinte autorità di ogni ordine e grado,
fratelli e sorelle, diletti figli, sono questi i momenti in cui la nostra fede emerge senza retorica, talvolta vacilla perché la morte sconquassa le poche certezze della nostra vita. Chissà quanti perché, quante domande, rabbia, rancore, risentimento, ma anche quanta nostalgia, preghiera, speranza e affetto. Credo che questo sia il momento delle lacrime, dell’umano dolore, del dire grazie per il dono che Gaia è stato e sarà sempre e per sempre. Emerge con prepotenza il grido che di unaumanità ferita e sanguinante che oggi chiede il silenzio, quello che non siamo riusciti a fare in questi giorni, un accanimento spasmodico e malsano alla caccia di notizie, dinamiche, orari, nomi, volti.
Viviamo e lasciamo vivere nella fede e nella pace il dolore e lo sgomento che questa ennesima morte porta nella nostra comunità, la quale ha dato un bel segno di affetto e di solidarietà.
Ci viene in aiuto la Parola di Dio. Il Vangelo di Giovanni ci presenta un momento non diverso dal nostro. Perché la morte è sempre la sottrazione di una persona cara ai nostri occhi e alla nostra presenza. Una situazione surreale segue la morte, Marta e Maria piangono il fratello Lazzaro, già da tre giorni nella tomba, con loro una moltitudine venuta a consolarle. In mezzo a loro c’è anche Gesù, colui che è il consolatore per eccellenza. Con lui c’è la solita nostra reazione “Kyrie, Signore, se tu fossi stato qui”… Se tu fossi stato… glielo abbiamo detto in tutte le salse e glielo ripetiamo in ogni occasione. Con la stessa decisione gli occhi di Gesù inchiodano anche noi e ci chiedono con immenso amore: “io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me anche se muore vivrà e chi vive e crede in me non morirà in eterno.
Credi questo?”. Ci crediamo? Vogliamo fidarci ancora di Dio? È una scelta, una possibilità, da cui noi credenti non possiamo, non vogliamo e non dobbiamo esimerci, neppure nel profondo dolore di oggi.
Non sono qui per cercare di giustificare Dio. Mi rifiuto però di assecondare l’idea proposta da molti di un Dio feroce e sanguinario che voglia la nostra morte. Dio vuole la vita, mai la morte. È il Dio dei vivi, non dei morti.
Quindi senz’altro non aveva bisogno di niente e di nessuno perché Gaia era il suo dono per noi, per mamma, babbo, fratello, nonni, zii e amici… Un dono prezioso, più mostrato che dato, purtroppo, i cui occhi resteranno per sempre la finestra per intuire l’anima bella che questa ragazza era per tutti coloro che l’hanno incontrata, accolta e amata.
Gli occhi sono la finestra dell’anima, mi disse una volta un frate, e quello sguardo luminoso, coronato da un sorriso splendente erano la presentazione più bella di Gaia e della sua bellezza interiore. Incorniciati con fierezza negli splendidi colori dei nostri abiti tradizionali con il grande amore che nutriva per le nostre tradizioni, ricevuto già dal grembo materno. Quegli occhi la rendevano unica per tutti, in particolare per i bambini che tanto amava e che per lei non erano solo un lavoro, ma un’autentica passione.
Come ebbe a dire il card. Giuseppe Siri per Giovanni Paolo I, lo dico io oggi per Gaia “apparve e scomparve, come un richiamo di Dio”. Mi piace pensare così.
Ognuno di noi fa parte di quel richiamo di Dio, che splendendo nella nostra vita, ci rende capaci di vivere, amare, essere parte di questa manciata di giorni che chiamiamo vita.
La morte di Gaia, all’uscita da una delle sue mattinate di lavoro a Porto Cervo come baby-sitter, ci insegna che non sappiamo quanto possa durare, ma sappiamo che debba essere spesa senza risparmio. Senza aspettare il domani e senza rimandare a domani quello che puoi fare oggi. Gaia amava la vita, l’ha amata e l’ha vissuta tutta, seppur breve, con gioie e dolori, attese e speranze. Lo stesso credo che volesse per ciascuno di noi, e qui possiamo leggere anche un suo insegnamento.
Il monito però oggi è quello della Prima Lettura, dove san Paolo scrive nella seconda lettera ai Corinti “anche se il nostro corpo (esteriore) si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno”. Siamo qui, i credenti, a professare la nostra fede nel Risorto, il Glorioso, Colui che accoglie Gaia nella Pasqua eterna, gliela affidiamo quale gemma preziosa perché, come diceva il suo nome, lasci in chi l’ha amata quell’allegria e quella gioia che lei era capace di donare a tutti, in ogni circostanza.
Un altro monito, non secondario, viste le circostanze in cui ci è stata tolta, è quello alla prudenza. Soprattutto quando siamo alla guida. In una società dove tutto corre e anche noi corriamo, presi dalla fretta e dal voler giungere dappertutto, ricordiamo che c’è sempre un altro sulla nostra via con la sua vita, i suoi affetti, il suo futuro.
Un segno dei nostri tempi è quello di correre, senza arrivare da nessuna parte, passando frettolosamente, senza neppure accorgerci che accanto a noi vi sia un altro.
Corriamo vedendo ma non guardando, sentendo ma non ascoltando. Alla fine della vita non ci sarà chiesto conto di quante cose abbiamo fatto, ma di come le abbiamo fatte…
Le nostre automobili, pur sicure, sono un’arma pericolosissima. E se da un lato c’è la propensione naturale a pensare alla propria incolumità, dall’altro c’è l’imperativo morale del rispetto e della salvaguardia dell’altro. E qui permettetemi di pensare e pregare anche per le famiglie della nostra Gallura che piangono altre due giovani vite precocemente spezzate.
Dunque siamo qua oggi, attoniti, atterriti, impietriti davanti a questa bara, dove giace esanime il corpo di Gaia. Non avremo delle risposte, non delle false illusioni, ma solo la luce della Pasqua, di quella fede che rischiara ma non cancella il buio del dolore. Un conforto, ma non un antidoto perché il mistero della morte è stato attraversato e sconfitto da Dio stesso nella sua croce e solo attraverso questa strada possiamo accettare questo momento tremendo. Davanti alla morte è bene piangere, ma non disperare perché la nostra fede professa che “ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata”. E di questa trasformazione non possiamo coglierne i contorni, ma ne possiamo intuire i segni provvidenziali e la continua presenza in mezzo a noi.
Ma quanto fa male vedere una figlia, una sorella, una nipote, un’amica che al mattino va al lavoro e poi non la si vede più.
Ventiquattro anni, mancava poco al 31 di agosto, per i suoi venticinque! Dio solo sa cosa ci fosse in quel cuore, attese, speranze, desideri. Di Gaia mancherà tutto… penso in modo particolare a voi, Debora e Alfredo, come ahimè ripeto in queste circostanze non esiste neppure una parola che racchiuda il dolore di un genitore che perde un figlio.
Penso a te, caro Roberto, che hai perso non solo una sorella, ma un’amica e una confidente speciale. Penso ai nonni, agli zii, a tutti gli amici.
Vi lascio, concludendo, con un’immagine, che girava sui social, Gaia con un sorriso meraviglioso, che al passaggio di sant’Efisio faceva sa ramadura con petali bianchi e rossi.
Sono il segno della nostra vita, che nel cammino sparge l’amore (dei petali rossi) e le opere buone (nei petali bianchi). Amore e opere che lei ora raccoglie nel suo cammino verso l’eternità, verso il Padre celeste per portarle davanti al trono di Dio. Riposa in pace, giovane Gaia, apparsa e scomparsa come un richiamo di Dio, e dona a chi piange ricordando il tuo sorriso, la dolcezza di una carezza e di un arrivederci in Paradiso."