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Un palco essenziale, una chitarra e una voce che è storia della musica italiana: Eugenio Finardi, supportato da Giovanni "Giuvazza" Maggiore, ha portato in scena al Teatro Massimo di Cagliari lo spettacolo "Voce Umana": un'esplorazione intima e potente del mezzo espressivo più antico e personale.
La serata, organizzata da Sardegna Concerti (tra le aziende di punta nell'intrattenimento isolano), non è un semplice concerto, ma un vero e proprio "viaggio intimo" che, attraverso aneddoti, quadri narrativi e l'esecuzione di brani più noti e più di nicchia, si addentra nel mistero di ciò che ci rende unici: la nostra voce.
L'espediente narrativo è quello della quarta parete, che concede la massima libertà interpretativa e improvvisativa: Eugenio e Giovanni si incontrano per costruire e provare il nuovo spettacolo teatrale sulla voce umana, partendo da una constatazione: la voce ci identifica in modo profondo, eppure spesso la trascuriamo, concentrati solo sull'aspetto esteriore e trascurando di "indossare voci terribili".
Del resto, la voce è un'arma molto potente: può trasformarsi in un incitamento alla rabbia e all'odio (come drammaticamente vediamo nel mondo moderno), o elevarsi in una preghiera rivolta al divino, in un momento di amore e unione... come dimostra "Amazing Grace", primo brano eseguito.
La narrazione si sposta sulle origini della comunicazione vocale nel tessuto sociale, ricordando come le voci dei venditori di strada fossero una forma anticipata e autentica di pubblicità, una vera e propria cultura popolare.
Capitolo centrale dello show è dedicato al periodo che ha plasmato l'artista: gli anni '70. Finardi li descrive come un periodo tanto magico quanto da incubo. Un'epoca segnata da una violenza tangibile – l'omicidio del commissario Calabresi, vissuto da Eugenio, o il drammatico episodio in cui Elio (celebre frontman di Elio e le Storie Tese) assistette in prima persona, sulla tangenziale di Milano, all'omicidio del giudice Alessandrini, perpetrato dalle Brigate Rosse– che creava "un'aria di qualcosa di irrisolto, che sembrava voler cambiare e non riuscirci".
Eppure, creativamente erano tempi leggendari! Lo stesso protagonista, a soli 20 anni, iniziava la sua vita professionale firmando il primo contratto con la "Numero Uno" di Mogol e Battisti, al quale portava i vinili da ascoltare (di Bob Marley, per esempio) sul motorino Ciao Piaggio “rubato” alla sorella, navigando sulla tangenziale verso Lecco (ove Lucio abitava).
Erano i tempi dei "Tagli" sulle tele di Lucio Fontana, degli incontri tra gli artisti della Cramps Records (etichetta che produsse i suoi primi dischi "Non gettate alcun oggetto dai finestrini" e "Sugo"): un crogiolo di sperimentazione che vedeva la partecipazione di figure del calibro di Demetrio Stratos, Paola Pitagora e persino John Cage (con cui Finardi cenò, parlando del silenzio).
Erano gli anni in cui Carmelo Bene -con la sua voce che riempiva i seni facciali- recitava sul palco con una donna completamente nuda sullo sfondo. Il perché lo svelerà egli stesso, durante una cena: "Vedi, giovane Finardi, siamo negli anni '70... al volgo non basta più solo l'artista, il volgo vuole anche la donna ignuda!".
Insomma... erano anni in cui era possibile tutto... anche volare, come stiamo un po' imparando stasera, e come ha imparato anche Eugenio, che lo ricorda eseguendo "Oggi ho imparato a volare" (estratta dall'album "Sugo" del 1976, celebra la libertà e l'emancipazione giovanile, riflettendo l'ottimismo e la sensazione che "tutto era possibile" tipica di quegli anni '70 pieni di speranza e ribellione, catturando quel momento catartico di scoperta di sé e del mondo. Un inno all'uscita dal conformismo e all'abbraccio delle nuove possibilità).
A Demetrio Stratos, frontman de "I Ribelli" prima e degli "Area" poi, scomparso prematuramente a soli 34 anni per un'anemia aplastica, è dedicato un toccante omaggio, in virtù di quello che ha rappresentato (e tutt'ora rappresenta) per Finardi: il suo "fratellone, una specie di guida", conosciuto alla Numero Uno e che poi lo indirizzò proprio verso la Cramps Records.
Stratos era la quintessenza dell'espressività vocale: "Era dolcissimo, desiderato da tutte le ragazze... lui era voce, non cantava, lui era canto, grazie anche alla sua conformazione fisica, che gli inglesi chiamano Barrel Chest. Io gli devo molto, e la sua morte ha segnato per me la fine di un'era. Al concerto in suo onore gli ho dedicato un blues… è il mio modo, da sempre, per lenire le pene".
Cosa dire dello stile vocale dei suoi miti? Battisti "cantava con una certa pulsione alla parte alta dell'accordatura". Battiato, invece, si contraddistingueva per lo stile "a mezza voce" (tipico dei direttori d'orchestra, che cantano la melodia per spiegarla agli esecutori, senza la piena potenza dei cantanti lirici) e Dalla -formatosi come clarinettista- "Ricordava un po' un'ancia che vibra... e un po' sa oghe dei tenores sardi!".
Altre canzoni arricchiscono la narrazione: da "Mio cucciolo d'uomo", scritta per il figlio neonato Emanuele (con la riflessione su come la voce cambi quando si parla ai bambini o agli animali), a "Un Uomo", incisa negli States con il mitico microfono di Frank Sinatra "Telefunken U-47", che Finardi ottenne gratuitamente (quando noleggiarlo costava 5 mila dollari al giorno) grazie al sassofonista David Sandborn... in cambio di "lezioni di turpiloquio italiano" (in particolare, sui nostri 50 differenti modi per "mandare a quel paese" qualcuno)!
Giungiamo quindi a "La Forza dell'Amore", brano che al cantautore non piace troppo per via della sua travagliata genesi: Italia 1990, poco prima della finale dei mondiali di calcio. Stava per uscire l'album di raccolta "La forza dell'amore'', contenente nuove versioni riarrangiate dei suoi maggiori successi (e che poi lo consacrerà allo status di "rocker italiano"). Mancava, tuttavia, l'agognato singolo radiofonico, al che l'artista si rinchiuse in studio di registrazione... ore di ipotesi e tentativi, tutti infruttuosi... finché -di colpo- un'illuminazione: unire suggestioni del rock (in particolare degli "Who") e del cantautorato italiano (come Venditti). Il testo contiene una chiara citazione geniale: l'espressione "Chi sei tu" è una traduzione letterale e un omaggio implicito a "Who Are You" degli Who (che viene, contestualmente, proposta al pubblico).
La serata è anche un invito alla riflessione sulla musica contemporanea, che Finardi giudica "estremamente banalizzata" per la sua semplicità armonica e per la mancanza di una educazione all'ascolto (e pensare che una canzone "banale" come la suddetta "Un uomo" cambia ritmo per ben tre volte!), laddove -addirittura- non è volutamente e sgraziatamente provocatoria.
Per spiegare il potere emotivo, l'artista ricorre a un'efficace spiegazione teorica: l'accordo maggiore è "solare, positivo, aperto", il minore "lunare, melanconico ma anche speranzoso". Queste due entità si incontrano proprio nel Blues, dove la melodia è in minore su un tessuto armonico in maggiore. Ecco perché, come si diceva prima, è un genere di conforto nel dolore: perché quando il dolore predomina... non resta che l'apertura alla speranza! Che possiamo apprezzare durante l'esecuzione di "Notte".
Il cantautore meneghino, del resto, non è mai riuscito a conformarsi alle richieste del mercato... nella musica ci ha sempre messo qualcosa del suo cuore e della sua anima. E il risultato è sempre stato gratificante, come nel caso di "Cinquecento sogni": commissionata dalla Fiat per il lancio della sua Cinquecento, tra il 1991 e il 1992, era pensata per durare poco più di un minuto, giusto il tempo necessario per accompagnare le immagini della vettura e concludersi con la frase chiave: "Cinquecento sogni... per una sola Cinquecento."
Superando le aspettative, la melodia, l'atmosfera e il testo poetico del breve jingle piacquero moltissimo, in particolare al pubblico tedesco, che avanzò una richiesta inaspettata: volevano la versione completa della canzone! Quando la musica mantiene una qualità e una poetica apprezzabili anche in un contesto commerciale, un inno "di marketing" può contenere una scintilla artistica in grado di superare i confini nazionali!
La serata volge verso il termine, ed il cantautore-filosofo eleva la dimensione della voce e del suono citando Dante e la sua "Commedia": nell'Inferno v'è solo caos, clangore delle catene e urla dei dannati e dei carnefici; nel Purgatorio compare il primo suono, unico per tutti: i penitenti devono infatti imparare a cantare all'unisono, a salmodiare, perdendo la personalità che li ha indotti al peccato; solo in Paradiso si accede ai suoni delle trombe angeliche, alla musica pura di Dio, che lascia muto perfino Dante, re della parola, stupefatto dalle armoniche melodie delle Sette Sfere Celesti.
Il viaggio si conclude sulle note di "Musica Ribelle" (nata quando, a 23 anni, "gli ormoni erano grandi come gattini") ed "Extraterrestre", metafora del desiderio profondo di evasione mosso da una critica all'insoddisfazione esistenziale, e più ampia allusione al bisogno impellente, tipico dello spirito "musica ribelle" di Finardi, di viaggiare, di scoprire, e di evadere, evidenziando -però- come questa ricerca debba trasformarsi in qualcosa di più strutturato e onesto per essere appagante.
Tra gli applausi e le standing ovation, un bis speciale: "Amore Diverso", con la seconda strofa cantata in sardo, a sottolineare l'importanza per l'artista della voce e della cultura locale, nonché il suo amore per l'Isola.
Eugenio si è infatti definito un "milanese adottato dalla Sardegna", avendo un legame particolare con la Gallura, ma non con la Costa Smeralda turistica, bensì con la zona più selvaggia di Aglientu e dell'entroterra, che attraversa via Luogosanto per godere dei suoi colori e profumi "travolto da quel profumo inebriante della natura che, per me, è aria di casa".
"La Voce Umana" è un viaggio interiore, supportato dalle emozioni evocate dalla musica di chi ha vissuto certi tempi, fisicamente o anche solo grazie ai racconti di chi c'era, che insegna che la vera rivoluzione -prima che nelle piazze- risiede nell'onestà di trovare "la propria voce", fuggendo la banalizzazione dei tempi e del pensiero.
Il cantautore-filoso, eterno "extraterrestre" che sognava l'altrove, suggerisce che -forse- bisogna smettere di sperare che qualcuno ci porti via e accettare che la nostra unica fortezza è vivere il presente con coerenza e originalità.
Se l'uomo è misura di tutte le cose, la voce umana è misura dell'uomo, una rivelazione che intreccia l'audacia di Demetrio Stratos con la consapevolezza di chi ha attraversato decenni di mutamenti sociali.
In un'epoca in cui ogni identità è mercificata e la musica rischia di diventare un rumore di fondo, questo "viaggio" resta l'inconfondibile sigillo e suggello di chi ha scelto il difficile percorso della presenza. Perché l'impegno artistico più grande, per provare a cambiare il mondo in tempi che ci stanno disumanizzando sempre più -per rabbia, fretta o avido egoismo-... è proprio quello di restare fino all'ultimo, sinceramente... umani.
E uscire, quindi, a riveder le stelle con voce umana: amor che move il Sole... e l'altre stelle!








