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Vangelo secondo Matteo

Primo scandalo: Matteo Renzi incontra Silvio Berlusconi, che a sorpresa, ma forse si diverte anche, gioca fuori casa, proprio nella tana degli avversari (chissà se anche lì avrà pulito qualche sedia) . Secondo scandalo: il segretario del partito democratico condivide con il leader di Forza Italia le liste bloccate, ovvero il no alle preferenze.

Vangelo secondo Matteo

Di: Redazione Sardegna Live


Primo scandalo: Matteo Renzi incontra Silvio Berlusconi, che a sorpresa, ma forse si diverte anche, gioca fuori casa, proprio nella tana degli avversari (chissà se anche lì avrà pulito qualche sedia) . Secondo scandalo: il segretario del partito democratico condivide con il leader di Forza Italia le liste bloccate, ovvero il no alle preferenze.

Sul primo punto, è chiaro che nel Pd quelli dello zoccolo duro si augurano, dopo tanto oltraggio alla bandiera, che la nave di Renzi si schianti contro gli scogli, salvo poi salire a bordo qualora naufragassero, invece, le loro speranze, per condividerne i trionfi o persino per pretenderne i meriti. Con questi scenari, è anche semplice immaginare che nel caso in cui si approvasse in breve tempo la legge elettorale in gestazione, tutto passerebbe nel dimenticatoio, persino certi peccati originali. Di fronte ai risultati – almeno ne arrivassero tanti ed efficaci! – non è forse più il caso di perdersi  in chiacchiere vacue. La disoccupazione che avanza inesorabile, gli sprechi insopportabili e le tasse che stritolano ci fanno capire ancora una volta che di sole parole, o di ideologie (peraltro mandate da tempo in soffitta) fini a se stesse non si campa, la tavola resta drammaticamente vuota.

Già, le parole, quelle che ad esempio sono usate in questi giorni per cercare di spiegare perché preferenze sì o preferenze no, a proposito della legge elettorale in itinere. Anche qui, la nostra lingua italiana è bella e generosa, a tal punto che spesso se ne approfitta. Ciò accade particolarmente in politica, quando c’è da tirar su correnti su correnti o addirittura un partito. In effetti, il dibattito sull’argomento si riduce a una questione di lana caprina.              

I sostenitori del no dicono, sostanzialmente, che il nome del candidato riportato nelle liste (bloccate) e scelto dal partito sarà deciso attraverso valutazioni di più aspiranti alla candidatura e sulla base di  criteri fortemente rappresentativi. Insomma, una garanzia per l’elettore, altro che imposizione! Come non essere d’accordo, se le cose fossero davvero così?

Chi invece grida allo scandalo per le preferenze negate, sostiene che nelle liste ci deve essere una rosa di nomi perché lo stesso elettore deve poter scegliere liberamente: è un suo sacro diritto, altrimenti che democrazia è?  In teoria, quest’argomentazione non fa una grinza, ma in pratica nasconde le stesse insidie presenti nel caso in cui non ci siano le preferenze.                                                                                                                                                     Infatti, bisogna stare molto attenti, perché imporre un nome agli elettori senza una giusta e adeguata selezione degli aspiranti candidati è antidemocratico così come lo è anche nel caso, ad esempio,  di dieci o trenta se il criterio d’identificazione dei singoli seguito dal partito è anch’esso antidemocratico. Dunque, in entrambi i casi non cambia la sostanza, anche se nel secondo l’illusione  della libertà di scelta tra più candidati è evidente. Ma, appunto, è solo un’illusione.

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