Alghero

Accettare il diabete, Riccardo: “Parliamone per non sentirci soli”

Il racconto della malattia attraverso l'esperienza di un giovane sardo

Accettare il diabete, Riccardo: “Parliamone per non sentirci soli”

Di: Ilaria Cardia


“La mattina mi sveglio già stanco. La giornata di un diabetico inizia mediamente così e le motivazioni rientrano nei diversi 40 fattori che influenzano l’andamento glicemico”. A parlare, in occasione della giornata mondiale del diabete, è Riccardo Pinna, 30enne di Alghero, che da 16 anni convive con il diabete di Tipo 1. Aveva, infatti, solo 14 anni quando scoprì di esserne affetto e la sua risposta alle terapie, obbligatorie per la sua salute, non fu serena: “Passai un anno molto turbolento sino a quando toccai il fondo”. 

Riccardo oggi vive a Genova, è un musicista e maestro collaboratore per il teatro dell’opera e non dimentica quella che per lui fu una terribile scoperta durante il periodo più complicato della vita: l’adolescenza. 

Ai microfoni di Sardegna Live ha deciso di ripercorre questo viaggio nei ricordi per dire ai diabetici “Non siete soli” e per raccomandare i genitori di bambini e adolescenti con questa patologia: “L’approccio con i vostri figli può fare la differenza”.

IL DIABETE IN SARDEGNA - La Sardegna è la regione che presenta il più alto numero annuale di nuovi casi di diabete di tipo 1 poiché, l'incidenza del diabete infanto-giovanile, è di oltre 50 casi per 100 mila abitanti (nella fascia d'età 0-30 anni); mentre, nel resto d'Italia, i nuovi casi annuali registrati si aggirano intorno a 6-7 per 100 mila abitanti. 

Nel resto del mondo questi numeri vengono raggiunti solo dalla Finlandia. Parliamo di tantissimi nuovi pazienti che devono porre continuamente attenzione alle variazioni dei livelli di glicemia oltre che gestire in maniera controllata l'alimentazione e l'attività fisica che, insieme alla terapia insulinica, costituiscono i pilastri fondamentali della cura. 

LA VITA DI UN GIOVANE DIABETICO – “È una vita di calcoli. Appena mi sveglio devo monitorare la glicemia e, se neccessario, la correggo attraverso l’iniezione di insulina pensando al dopo”. Già, perché Riccardo deve ragionare su quel che andrà a mangiare e alle attività che andrà a svolgere nel corso della giornata prima dell’iniezione: “Ho letto che, in media, ogni giorno noi diabetici prendiamo 180 decisioni in più rispetto a una persona senza la patologia. Devi calcolare l’apporto necessario per una corsa, per una cena con gli amici e, nel mio caso specifico, per un concerto. Esibendomi spesso in teatro devo fare i conti con l’emotività; mi emoziono, sale l’adrenalina che si trasforma e la glicemia fa un picco vertiginoso verso l’alto. Devi decidere e calcolare tutto il giorno ogni volta che devi mangiare. È un vero e proprio lavoro e, con questi presupposti, come fa un bambino o un adolescente ad accettare serenamente tale condizione, per tutta la sua vita, se non supportato adeguatamente? Non è facile come si pensa. La tecnologia aiuta tanto, ma è ugualmente complicato aver a che fare con il diabete”.

IL RIFIUTO PER LA MALATTIA - Riccardo, nonostante la giovane età, in passato ha avuto un tumore. È capitato quando aveva poco più di 20 anni e ha affrontato cinque cicli di chemioterapia prima di guarire: “Se devo riflettere su tutto quel che mi è capitato, sotto ogni aspetto, dico e ribadisco che il diabete è quel che ho sofferto in maggior misura. Per anni l’ho nascosto, pensa che ho iniziato ad accettarlo solo da due. Per l’insulina mi isolavo, non volevo che mi vedesse nessuno nell’atto di prelevare il sangue oppure durante l’iniezione. Oggi lo faccio sull’autobus, davanti gli amici, mentre cammino. Oggi ho la consapevolezza che non mi devo nascondere, devo farlo per sopravvivere”. 

Dell’esordio alla malattia ricorda: “Quando scoprii di avere il diabete, tra il team degli esperti all’ospedale, non trovai ad accogliermi una figura che mi avrebbe potuto supportare psicologicamente. Un supporto che necessariamente occorre anche alle famiglie che, impreparate, si ritrovano a vivere una condizione di vita completamente nuova”.

TOCCARE IL FONDO – Durante l’adolescenza, poco dopo la scoperta della malattia, Riccardo si rifiutò di monitorare il suo livello di glicemia e di effettuare le correzioni attraverso l’insulina: “Andava come andava. Un periodo che ricordo tra i più terribili, fu un anno davvero travagliato. Perché lo feci? Per sentirmi normale. Può sembrare banale ma io volevo solo sentirmi normale come qualsiasi altro ragazzo della mia età”.

IL RUOLO GENITORIALE –“Se avessi un figlio con la mia stessa patologia cercherei di fargli capire che quella è una condizione per cui non deve vergognarsi. Essere genitore è di per sé un ruolo complicato, con un figlio diabetico la difficoltà aumenta notevolmente”.

“La gestione del diabete è complicatissima. Osservare il TiR (Time in Range), ossia un intervallo ottimale dove i valori glicemici spaziano tra i 70 e i 180, è molto complicato. Ora immagina un bambino o un adolescente che appena ha i valori fuori norma riceve una chiamata dai genitori perché allertati dalla applicazione sul cellulare. Questi ragazzi ricevono chiamate dove gli viene detto cosa devono fare, quando lo devono fare e perché lo devono fare. Chiamate naturalmente sommate a quelle che già ricevono per le normali questioni genitori-figli. Insomma, in tutto questo, consiglio ai genitori di capire i loro figli nonostante la preoccupazione; alle volte è necessario fare un passo indietro, nonostante i valori non siano ottimali, pur di non essere troppo pressanti con i figli – e spiega - Capisco l’ansia e la paura che il diabete, se non tenuto sotto controllo, possa portare a gravi complicazioni però ricordo mia madre che, appena finito il pasto, apparecchiava la mia postazione con tutto il kit che comprendeva cotone, aghi, macchinetta e insulina. Lo faceva per il mio bene? Si. Lo sopportavo? Assolutamente no”. 

“TU NON SEI SOLO” – Riccardo ha attraversato questo percorso come una vera e propria odissea. Non ha accettato l’arrivo di questa malattia, ha rifiutato le cure mediche, ha vissuto una vita sregolata non pensando spesso alle conseguenze. Oggi ci racconta che, per tutti quegli anni: “Mi sono sentito solo. Forse se in quegli anni avessi conosciuto qualcun altro con la mia stessa patologia sarebbe stato diverso. Forse se fossi stato guidato dai medici verso un percorso psicologico sarebbe stato più semplice. Forse se avessi imparato a non vergognarmi non avrei trascorso tutti questi anni così. Vorrei dire ai compagni di avventure che non siete soli, anzi possiamo e dobbiamo parlarne. Io da quando lo faccio vivo tutto con molta più serenità. Oggi esistono tante realtà dove è possibile sentirsi capiti, ad esempio Progetto Esordio è una community creata nel Dicembre 2018 che opera sull’esigenza del sostegno quotidiano nella gestione del Diabete. Oppure consiglio il podcast ‘I Funamboli’ che tratta in modo accurato e sincero le storie di chi convive con il diabete”.

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