Sanluri

A Sanluri l'unica fortezza medievale ancora abitabile: un tempo teatro di battaglie, oggi museo

Detto anche castello di Eleonora d'Arborea risale al XII, e oggi è ripartito in quattro musei che raccolgono parte della storia isolana

A Sanluri l'unica fortezza medievale ancora abitabile: un tempo teatro di battaglie, oggi museo

Di: Giammaria Lavena


Nell’Italia medievale, in cui eventi e personaggi di spicco si sono avvicendati in rapida successione, la Sardegna dei Giudicati ha conosciuto un lungo periodo di contrasti e lotte al potere. Un ricchissimo scorcio di storia di cui ancora oggi l’Isola è testimonianza diretta, principalmente nella sopravvivenza di quelli che si manifestano come emblema di quel preciso periodo storico: i castelli. Ottantotto: sono le fortezze medievali sarde giunte ai giorni nostri, ognuna con la propria storia e tradizione, accompagnate da miti e leggende che ne arricchiscono il profilo.

Di questi, in gran parte caduti in rovina e abbandonati all’ineluttabile trascorrere del tempo, soltanto uno si è conservato in tal modo da risultare tutt’oggi abitabile. Si tratta del castello di Sanluri, detto anche di Eleonora d’Arborea, sebbene sia incerto un soggiorno nel maniero della giudicessa. Situato nella parte centro-meridionale della Sardegna, nella provincia del Medio Campidano, fu teatro di episodi decisivi della storia isolana. Edificio fortificato e con funzione in passato militare, risalente al XII secolo, oggi è diventato un museo di grande fascino, un tempo strategica roccaforte al confine tra i giudicati di Cagliari e Arborea.

CONTRASTI E SUCCESSIONI. Fu edificato, tra il 1188 e il 1195, per volere del giudice Pietro I di Arborea. Oltre che difensivo, il maniero aveva uno scopo residenziale e, secondo un documento del 1355, venne fortificato in appena 27 giorni per volere di Pietro IV d’Aragona, e fu scenario degli scontri fra il Giudicato d’Arborea e la Corona aragonese nel 1409, che videro le truppe spagnole prevalere, conquistando definitivamente la residenza fortificata. Successivamente divenne dimora, perdendo la sua funzione militare, in un susseguirsi di proprietà di nobili famiglie spagnole, dai De Sena agli Aymerich, passando per gli Henriquez, fino a giungere ai conti Villa Santa nel 1925, attuali proprietari.

LA FORTEZZA AL SUO INTERNO. Il mastio del maniero fu realizzato in forma rettangolare, ripartito in tre piani, con due torrette quadrangolari: la cinta muraria aveva mediamente uno spessore di due metri e fu innalzata, sotto la direzione dell'architetto Berengario Roich, su richiesta del re Pietro IV d'Aragona. La struttura presenta una pianta quadrangolare, con lati da 26 metri, mentre le quattro torri angolari merlate sono raccordate da mura alte 12 metri. All’interno della corte, a cui si accede dall’ingresso principale, una scala a T in pietra, che porta al primo piano del cosiddetto palazzo. L’antica fortezza è ricca di sale e affascinanti ambienti: lo studio del conte generale Nino Villasanta, le sale Gondi e le stanze della caccia​ e delle regine, con arredi rinascimentali. Al piano terra si trova invece il salone delle milizie, in memoria dei caduti sardi della Grande Guerra, ove è possibile ammirare armi,​ armature e bandiere donate al conte da Emanuele Filiberto di Savoia.

OGGI UN MUSEO. La fortezza venne ristrutturata nel XX secolo ad opera del generale stesso, che la adibì a museo-abitazione. Oggi il castello è ripartito in quattro ambienti museali, due conservanti cimeli e documenti dei conflitti mondiali, delle campagne d’Africa e del ventennio fascista, una recante una suggestiva collezione di circa 400 opere realizzate con una cera speciale (Museo delle ceroplastiche: il più grande in Europa del genere), da grandi artisti del passato quali Ammannati, Susini, Zumbo, Giambologna, Piamontini e Mazzafirri. Infine, la quarta si identifica nel quartiere feudale, con arredi, dipinti e sculture tra XVI e XIX secolo. Alcuni cimeli sono oggi d'importanza nazionale; fra questi il tricolore della Vittoria, che dalla torre di San Giusto consacrò Trieste all'Italia il 3 novembre 1918, e il bollettino della Vittoria, originale sottoscritto dall’allora maresciallo d'Italia Armando Diaz.

Foto: Enrico Spanu

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