Dopo la comparsa di numerosi focolai in Sardegna, non si placano le polemiche in merito alla diffusione e alle azioni di contenimento dei contagi da dermatite nodulare bovina nell'Isola.

La malattia, classificata dall’Organizzazione mondiale della sanità animale tra quelle di tipologia A, è una delle più temute dagli allevatori: altamente contagiosa, capace di compromettere il commercio e di provocare pesanti perdite economiche.

In Sardegna l’arrivo del virus ha imposto misure drastiche – vaccinazioni di massa, controlli serrati, abbattimenti – che hanno acceso un aspro dibattito tra istituzioni e mondo rurale. Ne abbiamo parlato con il veterinario Alberto Laddomada, già dirigente presso la Commissione Europea ed ex direttore dell'Istituto zooprofilattico della Sardegna, per capire quali sono le strategie adottate, i nodi irrisolti e le prospettive future di un comparto che oggi vive tra paure, sacrifici e speranza di ripartenza.

CATOGORIA A: ERADICAZIONE IMMEDIATA

La dermatite bovina è stata classificata dal Regolamento UE nella categoria A. Alla luce di questo le misure di contenimento sono state proporzionate fin da subito? «La classificazione della dermatite bovina nella categoria A significa che è una malattia da eradicare il prima possibile, nell'interesse della Sardegna – spiega Laddomada –. Discutere della categorizzazione di questa malattia o delle norme che la riguardano mentre siamo in piena crisi è assolutamente inutile, si perde solo tempo. Non è pensabile che a Bruxelles siano tutti pronti a cambiare le norme perché questa sciagura ora ha interessato la Sardegna. In passato ha riguardato altri territori (Grecia, Bulgaria), ora riguarda la Francia e la Sardegna e in tutti questi casi sono state applicate e si applicano le medesime norme». 

FOCOLAI ANCHE IN FRANCIA

La Savoia (regione sudorientale della Francia) e la Valle d'Aosta sono oggi alle prese con la medesima emergenza. L'approccio alla malattia è stato simile a quello adottato in Sardegna? «Si, le misure sono le stesse: blocco delle movimentazioni, trattamenti anti-insetti, abbattimenti e vaccinazione; e anche in Francia si sono incontrate difficoltà simili a quelle incontrate in Sardegna. Nella nostra isola tendiamo sempre a pensare che mettere in atto certe misure sia sempre più difficile che altrove. Negli anni scorsi sono stato in Alta Savoia, nei cui pascoli estivi in alta montagna gli animali sono liberi di vagare praticamente allo stato brado come in Sardegna. Anche lì i capi di allevamenti diversi hanno spesso contatti fra loro. Questo, in caso di emergenza, rende difficile il controllo degli animali, l'effettuazione di esami clinici sui capi, la vaccinazione, gli abbattimenti. Dunque, non sono problematiche che riguardano solo la nostra regione».

«Eppure – spiega l'esperto – non mi risulta che in Francia ci siano state tutte le polemiche che abbiamo avuto noi relativamente alle vaccinazioni. I veterinari che le hanno effettuate non hanno trovato resistenza da parte degli allevatori. E anche in Valle d’Aosta (dove la vaccinazione è in corso, per paura della diffusione del virus dalla Francia) gli allevatori hanno pienamente collaborato. A tal proposito ci tengo a sottolineare che anche in Sardegna la maggior parte degli allevatori collabora. Ma vi è una minoranza (fortunatamente sempre più esigua) che continua a opporre resistenza».

QUESTIONE VACCINI

Soprattutto nelle prime settimane, si è registrato nell'Isola un forte scetticismo rispetto all'efficacia dei vaccini. «Vero – conferma Laddomada –. Tra l'altro un vaccino fornito gratuitamente dalla Commissione Europea. Ma le pare che la Commissione Europea possa distribuire un vaccino non sicuro per i bovini? ».

«In questo senso i social sono talora dannosi e avvelenano il dibattito diffondendo disinformazione. Si è parlato di vaccino sperimentale, ci si è domandati come fosse possibile che esistesse già un tale vaccino, si sono prefigurati complotti contro i sardi. Invece, è tutto molto più semplice: la dermatite bovina non è una nuova malattia, si è avuto modo di studiarla in passato e mettere in campo una serie di strategie la cui efficacia è comprovata. Non è vero neppure, come sostiene qualcuno, che esistono varianti di questo virus, che è molto stabile da un punto di vista genetico. Mi occupo di queste materie da 40 anni e fin dal primo momento mi sono speso per rassicurare gli allevatori sulla sicurezza della vaccinazione. E ora tutti gli allevatori che hanno fatto vaccinare i propri animali ne sono altrettanto convinti. Non c'è stato niente di più dannoso in Sardegna delle campagne no-vax». 

IL CASO LOMBARDIA

Un altro argomento molto dibattuto è quello legato al focolaio individuato a giugno nel Mantovano, in Lombardia. In quel caso la malattia è stata contenuta rapidamente e l'infezione è stata immediatamente debellata. Perché l'intervento in Sardegna non è stato altrettanto tempestivo ed efficace? «I colleghi lombardi sono stati tempestivamente avvisati dai colleghi sardi perché gli animali che avevano contagiato la dermatite erano partiti dalla Sardegna una decina di giorni prima e si conoscevano esattamente gli allevamenti “a rischio” ai quali erano destinati – ancora Laddomada a Sardegna Live –. In Lombardia avevano tutti gli elementi per agire tempestivamente, un vantaggio che ha permesso di eradicare la malattia in maniera molto precisa e rapida».

«Infatti, sono stati individuati due allevamenti ad alto rischio che avevano ricevuto bovini dalla Sardegna probabilmente infetti. In uno fortunatamente la malattia non è scoppiata, perché evidentemente i capi arrivati non erano infetti, nell'altro invece è stato riscontrato il contagio. Hanno abbattuto 300 animali nel giro di un paio di giorni senza pensarci due volte».

GLI ABBATTIMENTI

Perché in Sardegna numerosi capi sono stati vaccinati e successivamente abbattuti, non sarebbe stato più opportuno e meno dispendioso procedere direttamente alla soppressione? «Il vaccino innanzitutto è fondamentale per contenere la malattia e i dati raccolti in Sardegna ci dicono che sta già avendo effetto, anche grazie alla cooperazione crescente degli allevatori – osserva l’ex dirigente della Commissione Europea –. Per quanto concerne gli abbattimenti avvenuti solo dopo la vaccinazione, va tenuto presente che da parte degli allevatori ci sono stati ricorsi al TAR e opposizioni dure. Alcuni operatori incaricati di abbattere gli animali sono stati minacciati, come ha denunciato lo stesso Ordine dei veterinari. Ci sono state situazioni difficili che bisogna trattare con una certa prudenza».

«Laddove non è riuscito ad abbatterli, si è deciso dunque di vaccinare all'interno dello stesso allevamento. Si chiama "vaccinazione soppressiva", non perché si sopprimano gli animali, ma perché si sopprime la malattia, la si contiene all'interno di allevamento nei quali alcuni animali si sono già infettati, altri sono in periodo di incubazione, altri rischiano di infettarsi il giorno dopo. In queste situazioni si è visto che il vaccinare è comunque utile a ridurre il rischio che la malattia si trasferisca ad altri allevamenti, ma non garantisce che gli animali vaccinati siano del tutto protetti».

L'abbattimento di tutti i capi degli allevamenti coinvolti, insomma, è l'esito necessario per estirpare l'infezione dall'Isola? «Se non si procede in questo senso non si chiuderanno mai i focolai confermati, perché non ci sono sistemi per garantire con la necessaria sicurezza che quegli animali, sebbene non presentino sintomi, siano sani. Significa che quei capi non hanno un futuro dal punto di vista dell'allevamento e commerciale. Poi è chiaro che l'allevatore deve essere indennizzato».

«C'è un altro aspetto fondamentale da considerare: in Sardegna ci sono circa 9.000 allevamenti bovini. Si sta intervenendo con gli abbattimenti in una cinquantina di aziende, e per quelle è un dramma, e bisogna prevedere adeguati indennizzi. Ma dobbiamo soprattutto evitare che la dermatite si diffonda alle altre migliaia di allevamenti della Sardegna, e a questo stanno lavorando senza sosta i servizi veterinari, procedendo con gli abbattimenti e la vaccinazione».

QUANDO FINIRÀ L'EMERGENZA?

Se tutto dovesse procedere per il meglio, è possibile prevedere i tempi di gestione dell'emergenza? Quando il comparto bovino isolano potrà tornare a respirare? «Dipende molto da quanto riusciremo a essere convincenti rispetto al fatto che abbiamo effettivamente eradicato il morbo – spiega Laddomada –. Siamo sulla buona strada, ma se c'è una percentuale rilevante di allevatori che non collaborano, che non consentono di vaccinare tutti gli animali, se non si mettono i veterinari nelle condizioni di lavorare al meglio accertando l'effettivo stato di salute di tutti capi sparsi nell'Isola, o di procedere con la vaccinazione, etc., non possiamo aspettarci allora atteggiamenti a noi favorevoli da Roma e da Bruxelles. I servizi veterinari non possono fare l'impossibile. Purtroppo una minoranza di allevatori che non collaborano rischiano di danneggiare tutti. Se invece tutti gli allevatori coopereranno facilitando il lavoro degli operatori sanitari, questo sarà certamente utile ad abbattere i tempi di attesa e vedere quanto prima la luce in fondo al tunnel».