In Sardegna

La bufala del bordello legale e felice

Prima della Legge n. 75 del 20 febbraio 1958 – la c.d. Legge Merlin – in Italia la normativa vigente prevedeva che venissero periodicamente eseguiti controlli sanitari sulle prostitute, anche se in realtà i controlli erano sporadici e soggetti a pressioni di ogni genere da parte dei tenutari, per impedire di vedersi ritirata la licenza per la gestione dell'attività

La bufala del bordello legale e felice

Di: Redazione Sardegna Live


Prima della Legge n. 75 del 20 febbraio 1958 – la c.d. Legge Merlin – in Italia la normativa vigente prevedeva che venissero periodicamente eseguiti controlli sanitari sulle prostitute, anche se in realtà i controlli erano sporadici e soggetti a pressioni di ogni genere da parte dei tenutari, per impedire di vedersi ritirata la licenza per la gestione dell'attività; il lenocinio era regolamentato e lo Stato riscuoteva la tassa di esercizio. Grazie all’adesione dell’Italia all’ONU, il paese dovette sottoscrivere la “Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo” (1948) che, tra l'altro, faceva obbligo ai firmatari di porre in atto "la repressione della tratta degli esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione".

Dopo un decennio di battaglia politica, nel 1958 fu varata la legge con cui veniva stabilita entro sei mesi la chiusura delle case di tolleranza, proibendo l’attività della prostituzione in Italia, lo sfruttamento, il favoreggiamento e introducendo una serie di reati intesi a contrastare il fenomeno dei “bordelli italiani” emerso allora in tutto il suo squallore. Nonostante i validi motivi che portarono all’adozione della Legge Merlin, è a partire dagli anni ottanta che nel dibattito politico italiano, periodicamente, ritorna di moda l’idea di revisionare la legge n. 75 al fine dare regolamentazione ad un fenomeno che evidentemente la legge non è riuscita ad arginare del tutto.

E’ ghiotta, infatti, l’ipotesi di fare cassa legalizzando e superando il proibizionismo che non è servito, proprio come per il gioco d’azzardo e per come si vorrebbe fare per le droghe leggere. Quindi, il presupposto sarebbe quello di legalizzare ciò che non si è riusciti a combattere e che è radicato nella moderna società. Non è una questione morale, perché in privato ognuno può fare ciò che vuole, ma diverso è se è lo Stato che dice che si può fare lucrando e spartendosi i guadagni. Dovere primario dello Stato non è fare cassa ma tutelare le persone più deboli, soprattutto le donne in quanto è ancora presente una ineguaglianza di genere in tutti i settori. Basti pensare che – proprio come sottolineato nel Progetto di Relazione al Parlamento Europeo della relatrice Mary Honeyball, Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere – la prostituzione e lo sfruttamento sessuale sono fenomeni di genere perché la maggior parte delle persone che si prostituiscono sono donne, mentre praticamente tutti coloro che comprano i servizi offerti sono uomini.

La regolamentazione di tale violazione della dignità umana – elemento citato nella Carta dei diritti fondamentali – e della parità tra i sessi avrebbe inequivocabilmente un impatto negativo nella società, in particolare sulla percezione delle relazioni tra uomini e donne, sulla sessualità perpetuando la malsana idea che i corpi di donne e ragazze siano in vendita e contribuendo ad inoculare nella mentalità maschile un’immagine degradante della donna. Non bisogna poi dimenticare che tra l’80% e il 95% delle persone che si prostituiscono hanno subito forme di violenza prima di entrare in tale circuito; il 62% delle vittime della tratta sono oggetto di sfruttamento sessuale; il 68% soffre di un disturbo post-traumatico da stress, una percentuale pari a quella che caratterizza le vittime di tortura; 9 prostitute su 10 vorrebbero smettere, ma non si sentono in grado di farlo. Pertanto considerare la prostituzione come un lavoro normale al fine di proteggere donne e ragazze, in realtà  ha l’effetto contrario esponendo le donne al pericolo di subire un livello più elevato di violenza.</

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