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Morte in Afghanistan, Paese in lutto.

Morte in Afghanistan, Paese in lutto.

Di: Redazione Sardegna Live


 

Chissà, parlando di noi italiani, se tutti abbiamo capito perché si muore oggi in Afghanistan e per quale ragione ieri si moriva in Iraq. Sia chiaro: l’uomo che non ha dubbi preoccupa sempre, sia in presenza di situazioni positive, sia, a maggior ragione, quando succede il contrario. La morte di un Ufficiale italiano, il Capitano Giuseppe La Rosa, sabato scorso in Afghanistan, ha fatto scattare, ancora una volta, il dolore infinito di un Paese, espresso per tutti dal presidente della Repubblica, per il tributo di sangue pagato dai nostri militari all’estero impegnati in una missione che non lascia equivoci: il mantenimento della pace. Le reazioni successive al cordoglio, come sempre, sono diverse: ci si divide e, anche stavolta in modo non sorprendente, considerate le fonti, ma comunque  sempre più preoccupante.

Perché abbiamo, infatti, tra Camera e Senato oltre 200 parlamentari, che rappresentano milioni d’italiani, contrari alle missioni internazionali dei nostri soldati. Sono i senatori e deputati di Sel e del movimento 5 Stelle: chiedono il ritiro  dei  militari italiani.  Eppure, su ciò che vuol dire costruire o mantenere la pace non ci dovrebbero essere dubbi, orientamenti partitici o schieramenti di parte. Sarebbe come negare le ragioni e gli scopi di encomiabili Istituzioni o Organizzazioni umanitarie dislocate in tutto il mondo perché lo stesso mondo migliori, in termini di solidarietà e di pacificazione tra i popoli.

Tra le  Istituzioni deputate a questo miglioramento della condizione umana (che vuol dire più democrazia, uguaglianza e giustizia sociale) non possiamo escludere quelle militari, perché non sono sinonimi  guerra, bensì di pace, di peacekeeping (mantenimento della pace), secondo il linguaggio internazionale. E’ sufficiente vedere qual’è l’attività quotidiana dei nostri soldati in Afghanistan, che è di piena collaborazione con le autorità politiche locali e di rapporti partecipativi e proficui con la gente, a partire dai bambini, dalle donne e dagli anziani. “L’impegno generoso dei nostri militari”, ha affermato appena una settimana fa il presidente della repubblica Giorgio Napolitano, “è di fondamentale rilevanza per il libero e ordinato progresso di un mondo in rapida e profonda trasformazione”.                                                                            

Ebbene, rispetto alla posizione ufficialmente conosciuta di Sel e movimento 5 Stelle,  la speranza, oggi, in tempi in cui sperare è d’obbligo, è che anche all’interno di partiti o movimenti contrari alle missioni di pace delle unità militari, si aprano i dibattiti che trattino il tema della solidarietà internazionale e della cooperazione senza pregiudizi o strumentalizzazioni, magari pronti a discutere su altri aspetti, ma non sullo scopo: l’uomo non può essere insensibile verso l’altro uomo, a prescindere dalla formazione politica di appartenenza. Si potranno, a sostegno delle ragioni contro le missioni all’estero, addurre, ad esempio, motivazioni legate alle necessità di una riduzione delle spese militari?

Anche in questo caso, pur tenendo conto della situazione drammatica in cui versa il nostro Paese e dello stato di povertà comune a larghe fasce di cittadini, non si può essere contrari a un povero che aiuta un altro povero. Lo fa l’uomo singolo e lo fanno, come detto, le Istituzioni o Organizzazioni nazionali e internazionali in un’elevazione sublime dello spirito di solidarietà. Certo, il prezzo è alto, troppo alto, come nel caso del Capitano Giuseppe La Rosa, che ha dato la vita per una causa che innanzitutto sentiva dentro.  Però parliamo di uomini, militari o volontari, uniti da uno spirito di profondo  altruismo e di illimitato senso del sociale. Senza retorica, l’orgoglio e la fierezza dei nostri soldati, che vediamo e leggiamo nei loro volti, sono quelli di chi ha fatto le proprie scelte di vita in virtù dei profondi valori ereditati e condivisi e non certamente o semplicemente per sbarcare il lunario.

 

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