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L'umanità e il travaglio interiore nel racconto di padre Salvatore Bussu, cappellano di Badu e' Carros

L'umanità e il travaglio interiore nel racconto di padre Salvatore Bussu, cappellano di Badu e' Carros

Di: Redazione Sardegna Live


 

La lotta armata delle Brigate Rosse è finita, ma il mondo dell’eversione è sempre in agguato e non si può abbassare la guardia, a causa anche del terrorismo internazionale. Così padre Salvatore Bussu, il cappellano di Badu e’carros che difese apertamente i terroristi rinchiusi nel carcere di massima sicurezza in sciopero della fame. L’allarme è contenuto nel bel libro di Luciano Piras (I terroristi sono miei fratelli, Andels Edizioni). Mentre Giovanni Paolo II entra a Rebibbia, per incontrare (siamo a Natale 1983) Ali Agca, il terrorista turco che l’ha quasi ucciso a piazza San Pietro, il cappellano del supercarcere si autosospende dal mandato sacerdotale e pronuncia una frase tanto celebra quanto discussa (e discutibile, a nostro modesto parere, che di quegli anni ci ricordiamo bene). “Se da una parte c’è stato un terrorismo delle Brigate Rosse, dall’altra c’è purtroppo un terrorismo di stato”.

 

 

Il cappellano, anche se da ragione a Mario Calabresi quando ricorda che lo Stato attento a dialogare con chi ha sparato non ha mostrato la stessa cura verso le famiglie delle vittime (“Ha pienamente ragione, e ha tutto il diritto di alzare la voce. Tutti noi italiani dovremmo riflettere attentamente su queste parole sacrosante”) non rinnega niente di quegli anni. “Non sono un pentito né un dissociato. Rifarei tutto, senza ombra di dubbio. Se oggi ci fossero le condizioni di quel Natale 1983, lo rifarei, eccome se lo rifarei”.

Ma si sbaglierebbe chi pensasse che il sacerdote barbaricino, il cui gesto certamente ha servito a contribuire alla rifoma del sistema penitenziario, e alla creazione della legge Gozzini è un “buonista”, anche se il suo gesto clamoroso contribuì all’attenuazione del regime di massima sicurezza prima, e poi alla chiusura dei quelli che polemicamente furono chiamati i “braccetti della morte”. Questo perché le norme della legge 354/75, ideata per difendere la collettività in un momento in cui l’eversione armata diventava diffusa e rampante, permetteva alle esigenze di sicurezza di prevalere sulle norme di rieducazione e di un trattamento normale dei detenuti.

 

Ma, come dicevamo, don Bussu non è un buonista: nella lunga intervista concessa all’autore del libro, giunse a chiedere, con una lettera pubblica rivolta ai vescovi sardi, l’applicazione della scomunica per gli autori di sequestri, una piaga secolare di alcune zone dell’isola; e esprime il suo disappunto per non essere stato in grado di ottenere da parte del sequestratore del piccolo Farouk Kassam, Matteo Boe, che era stato un suo alunno anni prima, un pentimento, e una conversione.

 

Luciano Piras , "I terroristi sono miei fratelli", Andel@s Edizioni, 2013

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