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Ansia di Terza Repubblica

Ansia di Terza Repubblica

Di: Redazione Sardegna Live


 

Tra suicidi e politica del futuro che fa tanta paura, oggi possiamo dire non di essere sull’orlo del precipizio, ma, peggio ancora, di esserci finiti dentro e in modo rovinoso. L’Italia è caduta in un inferno, dove le fiamme avvolgenti sono quelle della disoccupazione e delle tasse. Grondano sempre più copiosamente le lacrime di uno Stato malato di ingiustizia e povertà. Riuscirà il nostro Paese a uscire dal baratro in cui per le fasce più deboli e indifese la stessa vita è già diventata impossibile?        

Dissolte maldestramente tutte le altre, resta ora una sola possibilità: invertire la marcia. A parole è facile. E poi, in ogni caso, chi ne sarebbe capace? Anche qui, facendo una radiografia degli ultimi vent’anni, non c’è alternativa, bisogna consegnare il Paese ai giovani, i soli in grado, a questo punto, di pensare e di rendere concrete le loro aspettative. Serve, dunque, una svolta generazionale e di mentalità.                                                          

La precarietà, l’insicurezza e la disperazione giovanili sono causate dagli errori di valutazione di una classe politica senza distinguo, colpevole di aver creduto in un’Italia delle vacche grasse, spendendo, dissipando e indebitandosi. In sostanza, mettendo nei guai 3 giovani, su 5, che annaspano ,oggi, nelle acque torbide della disoccupazione più nera.                                          

Dopo una nobile prima repubblica già suscettibile, però, di adeguamenti normativi dopo circa 40 anni di vita e un’ improvvida quanto dissennata  2ª, ora c’è l’ansia della 3ª. La vogliono i giovani, ma anche lo zoccolo duro dell’attuale  classe politica. Con una differenza, e non da poco. I politici della continuità vorrebbero, anche stavolta, fare loro il passaggio con gli uomini della 2ª repubblica, gli stessi che ne segnarono il transito fallimentare dalla 1ª. Insomma, l’obiettivo è sempre quello della conservazione dello status quo o, secondo un’espressione attuale, delle rendite di posizione. Il fallimento appartiene solo ai cittadini, vittime predestinate.            

I professionisti della politica sostengono che sono lì perché scelti dagli elettori. Escluderli, dicono, vorrebbe dire attentare alla democrazia. Dimenticano i candidati imposti agli stessi elettori: questo, sì, è il vero attentato ai cardini democratici della Costituzione italiana.                                

C’è anche dell’altro, però. Ad esempio, ai suffragi dell’elettorato i nostri strateghi della politica ne aggiungono altri (vedasi premio della maggioranza) per “fare numero”, svilendo e vilipendendo il significato del voto popolare.                                                                                                                    

Il ragionamento dei politici della continuità? Il fine giustifica il mezzo, altrimenti non si può governare. Aggiungere voti a favore per far tornare i conti è un po’ come annacquare, legalizzandone l’atto, il buon vino, senza peraltro riuscire, nonostante tutto, nel nostro caso, a formare un governo degno di questo nome. I fatti lo dimostrano, il fallimento è totale. Quand’anche siano riusciti, in passato, a fare un esecutivo di un certo spessore attraverso i seggi legittimi e quelli privi di espressione democratica, la maggioranza, però, non era considerata da essa stessa abbastanza forte per fare quelle riforme istituzionali e costituzionali che, infatti, non ci sono mai state. Il quel caso, non potendo ulteriormente distorcere in parlamento i risultati della volontà popolare, la colpa delle mancate riforme di chi poteva essere se non dei poveri e bistrattati elettori? Colpevoli, questi ultimi, secondo le se

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