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Una voce baritonale, morbida e calda. Gli arpeggi della chitarra, la poesia degli archi e la malinconia dei flauti. Ballate dolci e denunce dissacranti, preghiere dolorose e sonorità etniche. Nel grande romanzo della storia della musica italiana, uno dei capitoli più intensi è dedicato a Fabrizio de André. Cantastorie capace di suggestioni senza tempo, paroliere raffinato, voce degli ultimi e dei diseredati, filosofo dell'anarchia e dell'anticonformismo mescolati a una spiritualità laica struggente e illuminante.
L'eredità del cantautore genovese, scomparso nel 1999, è oggi più attuale che mai e continua a intercettare la sensibilità e l'interesse di milioni di appassionati di musica e poesia che nei suoi testi e nel suo percorso artistico trovano risposte e riparo.
Andrea Filippi, 24enne musicista di Schio (Vicenza), ha fatto della divulgazione dell'opera deandreiana una missione di vita e da anni porta avanti una serie di progetti musicali di successo, forte di una preparazione accademica di alto livello. La sua somiglianza estetica con Faber è resa ancora più sorprendente da un timbro di voce profondamente evocativo. Un mix di elementi che hanno convinto il regista Luca Manfredi ad affidargli la parte di Fabrizio nel film Come è umano lui!, dedicato ai primi anni di carriera di Paolo Villaggio e trasmesso su Rai 1 lo scorso mese di maggio.
Abbiamo intervistato Andrea Filippi parlando con lui del valore della musica di De André, della sua attualità e di quanto il lascito del cantautore gallurese d'adozione meriti di essere valorizzato.
Quanto ha contato la somiglianza della tua voce con quella di De André nella scelta di portare avanti un progetto dedicato a lui?
«Non ho mai pensato di giocare su questa cosa. Mi sono innamorato di Fabrizio attorno ai 18 anni e mi ha aperto la mente insegnandomi tantissimo a livello umano. Così, utilizzando ciò che mi piace fare, la musica, ho voluto portarlo in giro in concerto per divulgarlo anche tra i giovani. Il discorso della somiglianza della voce e del taglio di capelli è venuto fuori dopo, ma non l'ho mai cercato come imitazione, sono cose del tutto naturali».
C'è una coincidenza abbastanza sorprendente, il tuo anno di nascita, il 1999, corrisponde col suo anno di morte, ti fa effetto?
«Non so, c'è tutta una serie di coincidenze. Magari da fuori possono fare effetto. Però non sono genovese, non sono sardo, sono veneto e vengo da un ambiente totalmente diverso dal suo. Non sono cresciuto con genitori appassionati di De André. Infatti l'ho scoperto io da ragazzo quasi casualmente».
Come si articola il tuo percorso musicale sulle orme di Faber?
«Avevo 19 anni e frequentavo il Conservatorio a Vicenza quando ho messo su un gruppo con i miei compagni e abbiamo fatto i primi concerti. Adesso ho diversi progetti. I Notturni, con lo spettacolo Parole di Faber, prevede una tournée massiccia con una band e in teatri anche da migliaia di posti. Poi c'è il Duo de André, con cui verrò in Sardegna questo sabato a Urzulei, che è una formazione più intima. Infine c'è Faber Sinfonico, un progetto affascinante con l'Orchestra Regionale Filarmonica Veneta».
Hai avuto anche un'opportunità imprevista: interpretare De André sul piccolo schermo. Come è stato?
«Mi ha chiamato la direttrice casting del film dicendomi che avevano pensato a me per il ruolo di Fabrizio. Inizialmente ho pensato di declinare l'offerta, non mi sentivo di imitare una persona che considero il mio padre intellettuale. Poi ho capito che nemmeno il regista, Luca Manfredi, voleva una scimmiottatura, ma un sincero omaggio. Avrei dovuto interpretare quello che era Fabrizio in quegli anni: un giovane borghese ma ribelle, appassionato di musica, che amava far baldoria con gli amici e scrivere canzoni. Mi sono divertito tantissimo».
Perché la sua musica è ancora così attuale e che bisogno c'è di ascoltarla?
«Ha cantato temi e valori che sono quelli di cui l'umanità ha avuto bisogno da sempre e di cui avrà sempre bisogno. Il dramma della guerra (raccontava il massacro dei palestinesi già negli anni '80), il consumismo, l'amore, la libertà, l'arroganza del potere, la necessità di far fiorire quelle zone d'ombra che sono troppo spesso oppresse. Ha dedicato la sua vita a parlare delle minoranze sostenendo che le persone che vivono più disagi sono spesso le migliori. È stato uno straordinario intellettuale contro il potere».
Qual è il tuo rapporto con la Sardegna?
«Ho sempre sentito un legame particolare con l'Isola, una regione meravigliosa e non parlo solo della costa, ma soprattutto dell'entroterra che lui stesso ha abitato. Fabrizio è tanto amato dai sardi e di conseguenza percepisco molto affetto anche nei miei confronti. Porto le sue canzoni in punta di piedi, con rispetto, e l'accoglienza di questa terra mi fa sentire come fossi a casa. In Sardegna si vive un contatto più sincero e autentico con la natura, tanto che, a tratti, non sembra nemmeno Italia».
Il rapporto con la famiglia del cantautore, invece, qual è?
«Quando ho interpretato la fiction su Villaggio, nel cast c'era Alice de André, figlia di Cristiano, nata anche lei nel '99. Ci siamo trovati a lavorare insieme anche quest'estate, insieme a suo padre, in un evento proposto a Genova per i 25 anni dalla scomparsa di Fabrizio. Mi sembra di sentire dell’affetto da parte loro, è capitato di vedersi e di stare insieme in qualche occasione, Alice è anche passata a trovarci a uno dei concerti del tour che faccio con la band. Con Dori la storia è un po' più complessa».
In che senso?
«Ci siamo conosciuti e visti un paio di volte, la ammiro molto. Mi piacerebbe collaborare con lei, le ho avanzato più volte l’ipotesi. Penso che unendo le risorse che ha la sua fondazione e le potenzialità dei social si potrebbe fare molto per continuare a far fiorire ciò che Fabrizio ha seminato. La nostra società ne ha sempre più bisogno. Inizialmente ero un po’ intimorito da ciò che potesse pensare di me, consapevole di quanto la sua opinione potesse essere influenzata dalle persone che la circondano. Credo sia difficile comprendere un ragazzo senza approfondirne la conoscenza diretta e immagino che passi la voglia di farlo se, come ho riscontrato, talune persone che si hanno attorno sono disposte a tutto per i propri marci interessi».
Come hai vissuto questa situazione?
«Cercando di dedicare la mia intera vita alla diffusione degli stessi valori che cantava Fabrizio, come l’amore per il prossimo, mi è risultato difficile accettare che ci siano tali dinamiche anche tra le persone di questo ambiente. Questi tristi ostacoli però non mi hanno ancora fermato. Tornando a Dori e alla sua fondazione, penso sia un peccato non sfruttare le grandi potenzialità che hanno, anche se posso capire che sia difficile aprirsi e scommettere su nuove iniziative».
Cosa si potrebbe fare meglio?
«Molte cose che si stanno facendo attraverso la fondazione potrebbero arrivare molto più lontano se incrociassero di più l'attività di tanti giovani che ancora oggi sono legati alla figura di questo artista. Anche la città di Genova dovrebbe fare molto di più per valorizzare la sua eredità».
Qual è il brano che ti ha fatto scoprire De André portandolo nella tua vita?
«Hotel Supramonte, dedicata al dramma del rapimento. Da adolescente sentivo gli altri parlare di una poesia meravigliosa, toccante, commovente. Io l'ascoltavo e pensavo a questa donna in fiamme, l'uomo solo, la lettera, il tempo descritto come un signore distratto e un bambino che dorme. Non capivo il significato. Poi ho scoperto che parla del sequestro e che è una lettera d'amore scritta alla sua amata, con cui ha condiviso l'esperienza. Ho capito che era un livello altissimo e mi sono lasciato conquistare da un'immensa passione».