La sua voce scandì i pomeriggi e le Notti Magiche di Italia ’90, raccontò gli Azzurri nella melodrammatica spedizione di Usa ’94, culminata nell'urlo strozzato in gola e il volto corrucciato di Roby Baggio dopo il rigore spedito alto alle spalle di Taffarel contro il Brasile, in finale a Pasadena.

Racconti europei: il Milan “matador” e il trionfo del dolore ad Heysel

Bruno Pizzul è stato il cantore delle gesta dei grandi campioni del calcio italiano. Un omone di un metro e 92, nato a Udine e cresciuto a Gorizia, che irruppe nel mondo del giornalismo senza far rumore, portando nelle case degli italiani il palpito di quegli anni d’oro del nostro calcio. Suo il racconto dello storico Milan-Barcellona 4-0, quando in finale di Coppa Campioni ad Atene, nel 1994, i ragazzi di mister Capello ribaltarono i pronostici della vigilia annichilendo i blaugrana di Cruijff, arrivati alla sfida col petto gonfio e le bottiglie di champagne già in fresco.

“Ulteriore testimonianza che il calcio è uno sport molto rigoroso, difficile, fatto non di chiacchiere, ma di concentrazione, di umiltà anche… quella che sicuramente è mancata al Barcellona”, fu il commento in un certo senso compiaciuto di Pizzul, subito dopo il quarto gol firmato da Desailly.

Sua anche la testimonianza di un’altra finale italiana nel maggio '85, quella della Juventus a Bruxelles, intrisa però di dolore nonostante il successo dei bianconeri sul Liverpool all’Heysel, dove 39 persone, di cui 32 tifosi italiani, persero la vita nella terribile calca che si creò sugli spalti in seguito all'avanzata violenta e minacciosa degli hooligans inglesi, che portò all'impietoso bollettino in cui alle decine di vittime si aggiunsero oltre 600 feriti. Nonostante lo sconcertante episodio le squadre furono costrette a scendere in campo, giocando la finale in un clima surreale.

“C’è soltanto sgomento. Vedo della gente piangere: vedrete che sono scene che con un avvenimento sportivo non hanno nulla da spartire. Il responsabile della Uefa mi conferma che ci sono 36 morti (ne sarebbero poi stati accertati 39, ndr), mentre un’altra notizia che mi lascia piuttosto sconcertato è che la partita si giocherà…”, riferì ai telespettatori un avvilito Bruno Pizzul.

Bruno Pizzul: iconico volto Rai

Un passato da professionista del pallone: dalla parrocchia a Catania, col "falso mito" Torres

Una carriera in cui studio e passione per lo sport hanno convissuto costantemente: passione che non si limitò ai microfoni, ma che dapprima lo vide protagonista nei campi professionistici col pallone fra i piedi. Partito dalla squadra parrocchiale di Cormons, la Cormonese, passò poi alla Pro Gorizia dove si impose come stopper e all'occorrenza mediano, approdando nel calcio professionistico, in Serie C, prima che, ad appena 20 anni, arrivasse la chiamata del Catania in Serie B. “Ero in prova con altri giovani friulani, fra cui un certo Burgnich. “Presero me e scartarono lui”, rivelerà facendo riferimento a Tarcisio Burgnich, campione d'Europa e vice campione del mondo con l'Italia nel '68 e nel '70. Proprio coi catanesi avrebbe ottenuto la promozione nella massima serie.

In una torrida estate al Cibali, durante un'amichevole fra Catania e Juventus marcò il Pallone d'oro italo-argentino Omar Sívori e il campione gallese John Charles, che insieme a Giampiero Boniperti formarono in quegli anni il formidabile “Trio Magico”. Fra le altre esperienze sul campo vi furono quelle con le maglie di Ischia e Udinese, con cui ancora si alternò nei suoi compiti fra la mediana e la difesa, col suo fisico imponente e longilineo per cui venne rinominato “canna da zucchero”. Nonostante si vociferi di un suo passaggio alla Torres, non vestì mai la maglia della compagine sassarese, giacché le sue apparizioni da calciatore nel sud Italia si limitarono alle esperienze in Sicilia e Campania.

Pizzul mentre bracca Omar Sívori in un'amichevole estiva fra Catania e Juve

Voce d'Italia. Le mille vite: patria, cultura e vocazione

Si fermò anzitempo, lasciando il calcio giocato a soli 24 anni, “un po' per un infortunio a ginocchio, un po’ perché mi rendevo conto di non avere grandi prospettive”, ammetterà. Un capitolo che, tuttavia, rimarrà solo parzialmente chiuso. Dopo la fine degli studi in Giurisprudenza decide di mettersi al servizio della patria, ufficiale degli Alpini. Poi la parentesi fra i banchi di scuola a casa sua, Gorizia, dove seguì i ragazzi dalla prima alla terza media nelle vesti di maestro di italiano, storia, geografia e latino. “Sono stato tra i primi a introdurre la lettura dei giornali in classe”, racconterà con orgoglio in un’intervista al Corriere per Franco Recanatesi.

Ma non poteva fuggire dalla sua reale vocazione: il racconto sportivo. Partecipò quasi per caso a un concorso di Radio Trieste per entrare in Rai, nel 1969, superandolo, e un anno più tardi commentò la sua prima partita, Juventus-Bologna. Sporadicamente iniziò anche a seguire l'Italia fino a quando, ai Mondiali di Messico 86, raccolse il pesante testimone di Nando Martellini, dando il via al felice matrimonio con la Nazionale che si sarebbe protratto sino all’estate 2002, poche settimane dopo la caotica spedizione iridata di Corea-Giappone. Al termine della carriera, nel suo palmarès totalizzerà cinque Mondiali e quattro Europei al seguito degli Azzurri, oltre alle innumerevoli partite di club.

Oggi Bruno Pizzul si è spento nella sua Gorizia, in ospedale. L'8 marzo avrebbe spento 87 candeline. Il suo racconto dei grandi campioni non valse meno delle giocate di questi ultimi, e anzi ne gonfiò il mito e la grandezza, impreziosendo il ricordo di quelle stagioni che ancora oggi rimangono impresse nella memoria degli appassionati sportivi, rendendo eterni momenti come questi: