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L’Italia del “tutto si può fare” troppo spesso inciampa e i lutti non si contano. Quanto c’è della mano dell’uomo nelle conseguenze dei nubifragi che ieri in Sardegna hanno sconvolto intere popolazioni e seminato la morte fino a un numero di vittime di cui è difficile farsene una ragione? C’è parecchio, stando anche alle dichiarazioni del capo della protezione civile, Franco Gabrielli, giunto nell’Isola per coordinare gli interventi necessari in una situazione da vera catastrofe.
“Intanto, adesso pensiamo ai morti”, ha detto il prefetto ai cronisti, “poi faremo la conta delle responsabilità delle autorità locali che pensano ai ritardi, per quanto è successo, della direzione della protezione civile. Per loro ci sarà un effetto boomerang”, ha concluso in tono polemico e senza mezzi termini Gabrielli.
Su quanto non è stato fatto in sede di prevenzione, è stato chiaro anche il sindaco di Olbia, Gianni Giovannelli, che, nel corso di un’intervista a SardegnaLive, ha fatto riferimento ai mancati interventi nel corso degli ultimi anni a causa delle limitazioni del patto di stabilità, di cui lo stesso sindaco ha chiesto più volte la deroga per fronteggiare i rischi da eventuali danni di tipo idrogeologico. Oggi, però, di fronte alla tragedia, queste considerazioni servono a ben poco. Semmai danno fiamma alla rabbia che è prevalente così come il dolore di famiglie che hanno perso un congiunto o che sono state evacuate dalle loro case. A fronte del problema delle risorse, che intristisce sempre di più in un Paese, il nostro, dove ogni giorno si scoprono incorreggibili devianze del denaro pubblico, resta l’altra faccia della stessa medaglia, ovvero le gravi ed endemiche violazioni delle regole in materia di prevenzione, urbanistica e rispetto del territorio. E allora, forse, con meno negligenze e maggiore responsabilità, oggi non staremmo a piangere 16 morti accertati.
Un numero che stride anche con le enormi proporzioni delle bombe d’acqua cadute sull’Isola in poche ore. Era impossibile prevedere la caduta delle piogge in modo così intenso e letale? Ad esempio, prima della macchina della polizia precipitata in un ponte portato via dall’acqua lungo la strada Dorgali–Oliena, dove ha perso la vita un agente con altri tre colleghi ricoverati in condizioni critiche, era appena passato, riferiscono le testimonianze, un pullman carico di studenti. Insomma, qualcosa di grave non ha funzionato, a più livelli. Come sempre, purtroppo. Si finirà mai di chiamare sempre in causa la fatalità?
Superficialità e incompetenza, ma anche tanta malafede e tanto disinteresse per il bene pubblico e privato. Si sta parlando dell’uomo, vittima e carnefice allo stesso tempo. È l’uomo che però deve trovare in se stesso la forza del rispetto dei suoi simili. È una speranza. Che può sopravvivere se riusciremo ad arrestare la deriva di una società dominata e ingabbiata da un consumismo spietato, dove i principi e i valori che reggono il senso delle istituzioni e la moralità, che non dovrebbero mai mancare soprattutto in chi è deputato alla gestione della cosa pubblica, troppo spesso sono messi da parte.
E’ arrivato in Sardegna il presidente del Consiglio Enrico Letta, gli attestati di solidarietà delle autorità italiane ed estere non sono mancati, così come ci saranno in queste ore gli aiuti di tutti, a partire dai privati cittadini. Ma una domanda, ahimé, è sempre la solita: cosa resterà dopo le cerimonie funebri? Il diritto delle comunità e dei cittadini onesti è quello di non vivere costantemente sotto l’incubo o il terrore di una pioggia in grado di annientare esistenze e il futuro di chi sopravvive alle catastrofi. Soprattutto quando la fatalità fa coppia con la mano negligente e autodistruttiva dell’uomo.