È ormai divenuta la routine, aprendo il giornale del mattino, leggere di tagli a questo o quel settore che vanno ad incidere profondamente sui servizi nel territorio, ovvero sui posti di lavoro che sostengono le micro-economie delle piccole comunità.

In nome del risparmio a tutti i costi, si chiudono scuole, uffici postali, ospedali, tribunali, caserme dei carabinieri e piccoli comuni. Anche la Sardegna non è immune: cosi per chi vive in frontiera non resta che l'esodo verso la città, con un conseguente spopolamento del territorio.

Con un  po’ di fantasia potremo immergerci per un po’ nel periodo medioevale. Considerato tra i più bui di tutti i tempi, ricorda quella odierna vessazione imposta con tasse e gabelle, ma anche un sistema gerarchico, con vassalli, valvassori e valvassini subordinati ad un grande feudatario. Una riedizione di quel sistema, sta oggi instaurando un progressivo depauperamento dei servizi, i quali, con un occhio sempre vigile al sociale, avevano reso il nostro paese uno stato civile e democratico, contribuendo a riequilibrare le sorti fra le diverse classi sociali.

Sono quasi 500 gli uffici postali che Poste Italiane ha deciso di chiudere sul territorio nazionale. 14 solo in Sardegna, dove a farne le spese saranno soprattutto i piccoli centri dell'interno dell'isola. Immaginate solo per un momento un arzilla ottantaquattrenne di Borutta. La “thia Peppina” del posto, che fino all'altro giorno usciva di casa per andare alla bottega, ma prima faceva un salto all'ufficio postale del paese per ritirare i propri soldi, o per pagare le bollette. Ebbene, da oggi  questa libertà di movimento non le sarà più concessa. Dovrà rivolgersi necessariamente al figlio, se ne ha, oppure ad un  nipote o un vicino di casa che, mugugna mugugna, l'accompagnino alla vicina Thiesi. Vicina si fa per dire, sono circa 5 km di distanza, che in macchina si percorrono in 5 minuti, ma a piedi è un viaggio senza ritorno per la povera vecchina. 

Altro settore altra desertificazione. Per salvare la scuola elementare di Gesico dalla chiusura imposta dai tagli avvallati dal nostro consiglio regionale, il sindaco del paese, assieme a quelli dei paesi limitrofi, si sono riscritti alla prima classe per poter raggiungere il numero minimo di alunni. Questi omoni seduti sui banchi di scuola rappresentano una bella provocazione per il vassallo Pigliaru, il quale anziché ribellarsi ad una cosi evidente sottrazione di risorse per il territorio, ha chiesto ai sindaci-valvassori ribelli di collaborare. Ovvero di sottomettersi a questa folle politica di tagli tout-court richiesta dal grande feudatario Matteo Renzi.

Lo stesso vassallo sardo sta imponendo poi tagli sulla sanità, nella quale infischiandosene della desertificazione del territorio, sta operando una chiusura di piccoli ospedali, poliambulatori, laboratori di analisi e chi ne ha più ne metta in questa pazzesca corsa all'enunciato risparmio, il cui risultato sarebbe da rivedere nel dettaglio. La solita “Thia Peppina”, questa volta di Guasila, anziché recarsi nella vicina Sanluri per le analisi di routine, dovrà giocoforza fare una gita fino al capoluogo. Per non parlare della “thia Peppina” di Meana Sardo, che non  potrà neppure percorrere la diritta SS 131 per arrivare sino a Nuoro, anziché alla vicina Sorgono. L'aspettano una serie di curve che a fine viaggio saranno state peggiori del male che l'affligge.

Stessa sorte toccherà all'arzilla vecchina se dovesse litigare col vicino. Ormai da tempo infatti, solo in Sardegna, hanno chiuso i battenti una trentina di giudici di pace e ben 8 tribunali, intasando le cancellerie di quelli rimasti aperti.

Per concludere, uno sguardo dall'uscio dell'esercito italiano. Un tempo attrezzato per ogni tipo di intervento, oggi depredato dai soliti tagli dell'egregio feudatario nazionale. Quando a casa della nostra &ldqu