Beirut

Beirut: colpevoli, quesiti, tensioni politiche e conseguenze di una tragica vicenda

Il Paese, già profondamente colpito dalla crisi e nel bel mezzo di più ampi scontri geopolitici, si trova adesso a far la conta dei morti e a dover fronteggiare una situazione al limite della sopravvivenza

Beirut: colpevoli, quesiti, tensioni politiche e conseguenze di una tragica vicenda

Di: Giammaria Lavena, foto ansa


A tre giorni dalla potente esplosione che ha devastato la città di Beirut, cause e responsabilità di tale dramma rimangono al momento difficili da individuare. Mentre continua a salire il bilancio delle vittime (almeno 157) e dei feriti (circa 5mila), le tensioni interne ed esterne si infittiscono. L'esplosione nel porto di Beirut è arrivata in un momento in cui il Libano si trovava nel bel mezzo di una crisi economica e politica, in seguito alla guerra civile consumatasi fra il '75 e il '90, e ai contrasti geopolitici che hanno interessato il Paese negli ultimi anni.

Le fonti ufficiali riferiscono che l'enorme deflagrazione è stata causata dalla presenza di ben 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, nei depositi all'interno dell'area portuale. La sostanza, utilizzata per produrre bombe e fertilizzanti, sarebbe stata tenuta sotto sequestro in un magazzino sin dal 2013, quando vi arrivò a bordo di una nave mercantile di proprietà russa.

Secondo più fonti, le fiamme sarebbero partite per motivi accidentali, a causa di alcune scintille generate da un’operazione di saldatura, ma a riguardo non c'è ancora nessuna conferma ufficiale. Un'altra ipotesi che nelle ore successive alla tragedia ha preso piede, e della quale uno dei primi sostenitori è stato il presidente degli Usa Donald Trump, è quella di un vero e proprio attentato da parte di Israele, che avrebbe cercato di distruggere uno dei bunker segreti dell'Hezbollah (il partito/milizia sciita collegato all’Iran con lunghi trascorsi terroristici), senza però essere a conoscenza della presenza di nitrato, e quindi ignorando le reali conseguenze. Altri ancora hanno puntato il dito proprio sullo stesso partito estremista, sospettato di aver cercato di distogliere l'attenzione su di sé a pochi giorni dal verdetto Onu, che si sarebbe dovuto pronunciare oggi, sull'omicidio dell'ex primo ministro libanese Rafiq Hariri, ucciso il 14 febbraio 2005 da un'autobomba insieme ad altre 22 persone, nel quale erano incriminati quattro membri appartenenti proprio al "Partito di Dio".

Sia Hezbollah che Gerusalemme hanno però dichiarato la propria estraneità rispetto ai fatti: gli stessi libanesi hanno escluso un eventuale coinvolgimento degli israeliani, nel tentativo di alleviare le tensioni; mentre le forze di difesa israeliane (Idf) hanno dichiarato che non si trattava di un deposito di armi. Voci e ipotesi si sprecano insomma; adesso i civili chiedono giustizia e verità, e accusano un sistema corrotto, che per trent'anni ha distribuito poteri, agi e ricchezze in maniera rigorosamente settaria. La gente, in protesta, si è riversata sulle strade, dove sono intervenute le forze dell'ordine libanesi, che hanno usato gas lacrimogeni per disperdere decine di manifestanti.

Alcuni negozi sono stati vandalizzati, e gli agenti nell'area del parlamento sono stati presi di mira. Tutto questo in un quadro generale devastante per il Paese, costretto a fare la conta di morti, feriti e sfollati (circa 300mila, fra cui 80mila bambini), e far fronte a una situazione che vede le strutture ospedaliere al collasso, a 120 scuole e al 90% degli hotel danneggiati, e, ovviamente, alla distruzione del porto, che rappresentava il cuore pulsante del Libano, e la principale fonte di provviste alimentari.

Il governo libanese ha immediatamente dichiarato lo stato di emergenza a Beirut, per un periodo di almeno due settimane, e le autorità avrebbero invitato i residenti ad abbandonare la città per via della possibile propagazione nell'aria di una nube tossica. "Ciò che è successo a Beirut ricorda Hiroshima e Nagasaki - ha dichiarato in lacrime Marwan Abboud, governatore della capitale libanese -. Nulla di simile era mai accaduto in passato in Libano".

Uno scenario post-apocalittico, documentato dalle riprese amatoriali diffuse sul web, in cui si vede chiaramente la potenza distruttrice dell'esplosione, che si propaga fino a centinaia di chilometri di distanza e devasta qualsiasi cosa.  Questo il quadro generale in cui si è consumato il dramma che ha sconvolto il mondo intero, in quella che fino agli anni '70 veniva considerata la "Parigi d'Oriente", meta di lusso dei più grandi emiri, principi, sceicchi e attori, mentre oggi non rimangono che macerie e disperazione.

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