Sexting e reveng porn, veri e propri abusi online. Cosa si può fare contro?
Messaggi, foto e video a sfondo sessuale resi pubblici e diffusi a dismisura, la vendetta corre sul web e difendersi da questa forma di violenza tecnologica è sempre più difficile
Di: Sabrina Cau
Sono tantissime le persone che per vendicarsi dell’ex fidanzata o fidanzato pubblicano online foto e video privati sessualmente espliciti. Certo, quale migliore ripicca del rendere pubblici messaggi intimi su una piattaforma social? “C’eravamo tanto amati, ma ora non più!” E si innesca una bomba a orologeria destinata a causare seri danni alla persona coinvolta. Le donne sono le vittime principali, ma il fenomeno colpisce anche i maschi e le conseguenze sono davvero molto gravi. Chi vede violata la propria intimità nelle mani degli squali online subisce un impatto emotivo fortissimo e per le ragazze la “macchia” è molto più forte.
Vengono condannate dal tribunale social senza alcuna pietà. Etichettate e travolte da un linciaggio mediatico tale, da essere trascinate in un tunnel senza uscita. Tutto questo causa in loro umiliazione, soprusi psicologici e, come se non bastasse, slut-shaming, ovvero vengono spinte a sentirsi responsabili per atteggiamenti sessuali che differiscono dalle aspettative di genere tradizionali. Meccanismi depressivi, angosce incontrollabili e gravi ripercussioni sullo sviluppo psicofisico, soprattutto negli adolescenti, sono solo la naturale conclusione.
Secondo la Direzione della Polizia criminale si contano 2 episodi ogni 24 ore, ma bisogna considerare che la maggior parte di chi dovrebbe denunciare, non lo fa per paura di subire ulteriori umiliazioni . Tuttavia, se vogliamo parlare di percentuali, i dati che emergono da una ricerca qualitativa sul tema svolta da Women for Security (la Community che raggruppa le professioniste italiane della sicurezza cyber), rivelano che il 14% dei rispondenti ha conosciuto almeno una vittima per lo più di sesso femminile, il 2% ammette di essere stato coinvolto personalmente in un episodio, ma chi fa ricorso alla denuncia è solo il 50% delle vittime.
L’86% degli intervistati non ha voluto dichiarare l’età delle persone coinvolte, mentre l’8% riferisce un’età compresa tra i 15 e i 25 anni e l’1% dichiara che la vittima conosciuta aveva meno di 15 anni.
Qual è arma di difesa?
Sicuramente la prevenzione: l’età sempre più bassa delle vittime rende necessario proteggere la fascia di popolazione in età scolare. Fondamentale è inoltre la Campagna di sensibilizzazione, così come sarebbe importante imporre sanzioni più efficaci.
La violenza digitale va DENUNCIATA.
Sempre.
Sarà la Polizia Postale a raccogliere le prove del reato e se la vittima non riesce a difendersi da sola ci sono le associazioni in grado di offrire tutta l’assistenza necessaria gratuitamente, un esempio tra tutti: “Permessonegato.it”.
Prima di fare quello stupido click meglio pensarci bene perché potrebbe essere l’inizio di un incubo.