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A Bono salgono i contagi e chiudono le chiese. La diocesi: "Invitiamo al dialogo"

Polemica a Bono dopo la decisione del vicesindaco di chiudere le chiese per via dell'incremento dei contagi da coronavirus. Sulla vicenda è intervenuto monsignor Corrado Melis, vescovo di Ozieri: "Formula decisamente maldestra. Ha tutta l'aria di un disperato tentativo di tamponare una situazione ormai sfuggita di mano"

A Bono salgono i contagi e chiudono le chiese. La diocesi:

Di: Giammaria Lavena


E' polemica aperta a Bono dopo l'ordinanza firmata dal vicesindaco Nicola Spanu, tramite la quale l'amministrazione ha deciso di chiudere anche le chiese in seguito al vertiginoso aumento dei casi di coronavirus. L'Ats ha comunicato 30 contagi, ma il primo cittadino ne riporta in via ufficiosa circa 93.

"L'ordinanza del vicesindaco della comunità di Bono ha dell'inverosimile - si legge in una nota firmata dal vescovo della diocesi di Ozieri, monsignor Corrado Melis -: un colpo di mannaia così scomposto da far sgranare gli occhi anche ai più distratti ascoltatori di tg, ormai assuefatti alle sorprese a cui la pandemia ci ha abituati. Oggetto: nuove misure di contenimento da attuarsi sul territorio comunale per il contenimento e contrasto del Covid-19. Sembra tutto secondo le normali consuetudini amministrative di un Comune in emergenza Covid-19, fino al comparire di una formula decisamente maldestra, sia nella forma che nel contenuto: Il vicesindaco ordina la sospensione, nelle chiese presenti nel territorio comunale, di tutte le celebrazioni feriali e festive in presenza dei fedeli". 

"Ha tutta l'aria di un disperato tentativo di tamponare una situazione ormai sfuggita di mano - osserva il prelato -, visto l'esponenziale incremento dei casi di infezione nella già provata comunità di Bono e forse - sembrerebbe dalle cronache di quartiere - si tratterebbe di una risposta di petto alla rilassatezza o poca serietà nel rispettare le norme vigenti. Dissentiamo nella maniera pia radicale da una indebita e grossolana ingerenza nella sfera del culto, scavalcando sia l'evidenza di una prassi ecclesiale attenta e serena nel rispetto delle normative, sia una storia di giurisprudenza ormai assestata da quasi un secolo. Non credo, infatti, di assumere un punto di vista di parte se affermo che le nostre Chiese, grazie all'impegno dei parroci e dei collaboratori, ma anche al maturo buon senso dei fedeli, sono forse uno del pochi luoghi cui tutti i dispositivi di protezione individuale e collettiva sono rispettati anche con una certa facilità". 

"Personalmente - afferma il vescovo - posso assumermi la responsabilità di chiedere agli amministratori di fidarsi e appurare di persona la normalità con cui vengono rispettate le norme ministeriali all'interno dei luoghi di culto. Dal 1929 ad oggi autorità civile e religiosa hanno stretto sempre di più un vincolo saldo e sereno, scoprendo reciprocamente la ricchezza dell'amicizia, della stima e della lotta comune nei confronti di ogni minaccia disumanizzante che attacca la popolazione servita con attenzione e cura da entrambi. Per questo, la posizione istituzionale che ricopro mi mette in forte imbarazzo davanti a un documento così perentorio in materia di culto e vita sacramentale. Nel primo lockdown si sollevò un polverone perché non c'era stato un dialogo sereno e arricchente fra governo e istituzione ecclesiastica. Venne fuori la consapevolezza da parte del governo di non essere soli a lottare contro la pandemia, ma di avere nella Chiesa un valido alleato. Insomma, rinnovando stima e fiducia e facendo appello alla coscienza degli amministratori - conclude - invito con decisione le autorità amministrative a scegliere la pista di un dialogo sincero, per poter coordinare al meglio le forze in questa situazione già così complessa". 

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