In Sardegna

Pardulas: irresistibile tripudio di ricotta, zafferano, limone e arancia

Di origini antichissime e presenti anche nella letteratura, ne parlò Antonio Gramsci in una delle lettere inviate alla madre mentre era in carcere

Pardulas: irresistibile tripudio di ricotta, zafferano, limone e arancia

Di: Alessandra Leo, foto di Antonella Etzi


La Sardegna ha alle spalle secoli di tradizioni e cultura dolciaria prestigiose e uniche, in cui pochi e semplici ingredienti, spesso “poveri”, combinati con rara maestria e mani sapienti, si trasformano in vere e proprie leccornie apprezzate in tutto il pianeta.

Le pardule, o pardulas, sono senza dubbio tra i dolci simbolo della nostra magnifica Isola, diventate ormai talmente famose per la loro bontà che sono entrate a fa parte del PAT (Prodotti Sardi Agroalimentari Tradizionali).

Prodotto tipico della Pasqua e del giorno dei morti, come vuole l’antica tradizione, ultimamente sono sempre più presenti ogni giorno dell’anno sulle tavole dei sardi.

Apprezzate da grandi e piccini, si tratta di fragranti sfoglie croccanti con un ripieno speciale, una vera e propria esplosione di gusti contrastanti che spiccano l’uno senza coprire l’altro, ma allo stesso tempo risultano delicati al palato.

Il nome e la ricetta di questo dolcetto strepitoso cambiano a seconda della zona della Sardegna in cui viene preparato: “pardulas con arrescottu” se le assaporiamo nel Campidano, con una base di ricotta, “formaggelle” o “riccottelle” nel Sassarese, “casadinas” nel Nuorese, dove sono a base di formaggio fresco di pecora al posto della ricotta.

Si tratta di interpretazioni diverse di un’unica antichissima ricetta, discendente dalle “placente” di origine greco-romana, ovvero piccole tortine di sfoglia menzionate addirittura nel “De Agri Cultura” di Catone.

Poco chiara è invece l’etimologia del nome “pardulas”, alcuni ne indicano l’origine nella parola latina “quadrula”, ossia quadrato, mentre altri vedono la sua genesi in “partula”, cioè partoriente, in quanto sarebbe associata la forma della pancia della donna incinta a quella della pardula.

Di questi succulenti dolcetti parlò addirittura Antonio Gramsci in una delle lettere inviate dal carcere alla madre, mentre ricordava con nostalgia uno dei pranzi di famiglia, riunita attorno a “kulurzones e pardulas”.

In alcuni paesi del Cagliaritano e dell’Oristanese, si usava regalarle a Maria Puntaoru, orrida strega che girovagava per la Sardegna con un ferro ricurvo e una fame insaziabile, protagonista di tante leggende. La tradizione voleva che nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre le porte delle case fossero lasciate aperte per permettere alla megera di mangiare quanti più dolci possibili, nutrirsi e lasciare in pace per un po’ gli abitanti dei paesi.

Le pardule ricordano dei fiori per la forma, con i bordi ornati come se fossero centrini antichi, creati con i famosi pizzichi sulla pasta.

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