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Coronavirus. Caligaris (Sdr): “Sistema sardo in sofferenza per operatori, detenuti e familiari”

Svariati i problemi presenti nelle carceri anche prima del Covid-19

Coronavirus. Caligaris (Sdr): “Sistema sardo in sofferenza per operatori, detenuti e familiari”

Di: Redazione Sardegna Live


Maria Grazia Caligaris, socia fondatrice associazione onlus “Socialismo diritti riforme” fa un quadro della situazione attuale delle carceri sarde. Secondo la donna i tanti problemi, presenti anche prima dell’emergenza Coronavirus, vano risolti quanto prima. 

La lettera integrale dell'ex presidente Sdr:  

“Il provvedimento con cui il Governo è intervenuto per alleviare la presenza dei detenuti nelle carceri, con l’intento di dare una risposta all’emergenza Covid-19, non risolverà la condizione di grave sofferenza in cui si trova anche il sistema penitenziario in Sardegna. È un primo passo ma non sufficiente. Occorre ampliare il ricorso alle pene alternative e promuovere una mini amnistia o un indulto”, scrive la Caligaris. 

“Nella nostra isola al problema del sovraffollamento in alcuni Istituti (Oristano-Massama, Cagliari-Uta e Sassari-Bancali) si aggiungono le carenze ‘storiche’ che il Ministero della Giustizia e il Dap non hanno mai seriamente affrontato e risolto. La costruzione di quattro nuove strutture penitenziarie ha paradossalmente complicato la realtà isolana dove sono aumentati i detenuti in alta e massima sicurezza e la carenza di personale (direttori, agenti, educatori e amministrativi). E’ inadeguata l’organizzazione sanitaria, deficitaria sotto il profilo dell’efficienza. Aspetti che rendono difficile tenere insieme esigenze diverse nel rispetto dei diritti di tutti.

Senza parlare della Magistratura di Sorveglianza che necessita di numeri decisamente più importanti per rendere il ricorso alle pene alternative più snello ed efficace. 


Non si può fare a meno di considerare che se nelle carceri isolane non si sono verificati atti inconsulti lo si deve al senso di responsabilità delle persone private della libertà e dei loro familiari ma ha avuto un ruolo determinante il personale. In queste settimane dell’imperativo “restare a casa” abbiamo sperimentato, almeno in parte, che cosa significa vivere con limiti alla libertà. Da cittadini responsabili abbiamo rinunciato a uscire di casa se non per necessità. Molti hanno sofferto a tal punto questa condizione da non riuscire a portarla a termine completamente. Hanno frequentato le edicole o il market o la farmacia più di una volta, senza neanche l’urgenza. Hanno avuto al loro fianco moglie o marito, figli, nipoti. Hanno avuto moment di socialità attraverso il computer o il cellulare. Imporre restrizioni a chi vive una condizione limitata, violando così anche le norme vigenti che permettono ai detenuti di vedere almeno i propri familiari (principio peraltro fondamentale per il reintegro sociale e per mantenere relazioni con i figli) oppure i volontari ha creato non pochi problemi a Direttori e Comandanti di Reparto. Ha imposto agli Agenti e agli Educatori un surplus di lavoro costringendoli, in un momento della loro vita condizionato da una grave emergenza sanitaria, a fare leva quasi solo sull’arma della comunicazione.

 

Non è stato facile spiegare perché, condividere lo scopo delle nuove più rigide limitazioni palesando un fine comune per il rispetto della vita di tutti. Tutto questo è stato fatto, anche con il contributo dei Cappellani, durante le ultime tre settimane costruendo un nuovo modo per stare insieme in una realtà chiusa. A questo equilibrio delicato e sempre instabile ha contribuito il personale sanitario in grande difficoltà. Tutti, anche i volontari, aspettano un ulteriore provvedimento del Ministro Bonafede che con senso di responsabilità, senza il condizionamento degli insensati allarmi per la libertà a vantaggio di violentatori, pedofili e assassini, assuma una decisione in grado di incidere più opportunamente per alleviare una situazione che, forse non si è ancora capito, è molto delicata.


Non basta riconfermare un dispositivo di legge esistente (199/2010), come ha fatto. Non basta garantire l’uscita dal carcere a chi deve scontare ancora 18 mesi. Serve coraggio e determinazione per consentire a chi sta concludendo il percorso detentivo di andare a casa, seppure in detenzione domiciliare. Una mini amnistia e/o un indulto sarebbero l’ideale, anche perché la situazione dei Tribunali non è facile. Il Ministro non aspetti oltre intervenga affinché la salute di tutti sia salvaguardata in condizioni di vita in cui l’igiene sia davvero garantita ed esclusa o almeno controllata la promiscuità”. 

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