Ozieri

Tradizioni sarde di Primo Maggio: il "gioco cerimoniale" ozierese

Un antico rito che vedeva protagoniste giovani fanciulle. Consisteva in una serie di strofe di buon e malaugurio: un lenzuolo, un cestello e degli oggetti da poggiarvi come "pegno"

Tradizioni sarde di Primo Maggio: il

Di: Giammaria Lavena


Un tempo a Ozieri, in questa giornata era tradizione svolgere il cosiddetto “giuoco cerimoniale del primo maggio”. Venne descritto e raccontato per la prima volta nel Ripulimento e nelle Armonie dall’ozierese Matteo Madao, alla fine del Settecento, mentre cinquant’anni più tardi, nel 1839, ne parlò Alberto La Marmora nel suo Voyage, e infine Filippo Valla nel 1895. Madao si limitava a descrivere il gioco come una semplice riunione fra fanciulle sotto una sorta di baldacchino; il La Marmora ne precisò invece il meccanismo.

GIOCO CERIMONIALE. Le giovani, solo o con qualche ragazzo, si raccoglievano in gruppetti davanti alla porta di una casa tenendo sollevato un lenzuolo, al cui centro si poneva un cestino dove ciascuna delle partecipanti riponeva un oggetto personale. A quel punto, dopo una strofetta iniziale, venivano cantate altre strofe alternativamente augurali e ingiuriose, a seguito delle quali si procedeva con l’estrazione degli oggetti riposti nel cesto, così che ad ognuno toccasse in sorte l'augurio o l'ingiuria. 

LE VARIE VERSIONI. La filastrocca recitava, secondo quanto riportato ancora dal Madao, le seguenti parole:

E Maja, e Maja,

et bene veniat Maja,

 Cun s'arma, et cun su fiore, 

et cun totu su soliu amore.

Probabilmente il “maja” segnato dal Madao – fa sapere il sito “Premio Ozieri di Letteratura Sarda” – è una sua alterazione di “maju”, operata per accentuare la connessione dell'uso moderno con l'antichità classica; il “soliu” che compare alla fine è quasi certamente un fraintendimento del sole che si incontra nelle lezioni del La Marmora e del Valla. 
Quella del La Marmora, metricamente meno irregolare, suona:

Maiu, maju, beni venga 

Cun totu su sole e amore, 

Cun s'arma e cun su fiore, 

E cun sa margaritina. 

E, infine, Valla riportava: 

E' mmaju, è mmaju E beniffenga, 

E tattu su sole de amore 

Cu ss'elmo e cu ssu fiore 

E con sa margaritina, 

Unu anzu e dissiplina 

An dadu pro amore.

(MAL)AUGURIO. A quel punto, la fanciulla con più inventiva prende dal cestino il pegno e canta due versi di buono o cattivo augurio. E così via, sino all’esaurimento degli oggetti contenuti nel cestino. Questo antichissimo rito, ormai sparito da circa mezzo secolo, si riallaccia alle tradizioni di “Cantare il maggio”, diffuse in gran parte del continente. La particolarità del gioco ozierese sta nell’assegnare a turno, ciclicamente, buon augurio e malaugurio. Alla fine, i partecipanti si dividevano così in due schiere: quelle del “bene” e quelle del “male”.

Foto: Rai Teche

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