Orgosolo

Orgosolo. Maria Corda, la signora della seta: “Tradizione di famiglia da 200 anni”

Le donne della sua famiglia hanno realizzato nei secoli centinaia di "lionzos", i copricapi dell'abito tradizionale di Orgosolo. Oggi racconta: "Tengo viva un'arte che è parte della storia della Sardegna"

Orgosolo. Maria Corda, la signora della seta: “Tradizione di famiglia da 200 anni”

Di: Pietro Lavena


 L’incedere fiero, testa alta e sguardo dritto avanti. Il rosario in mano, gli stivaletti che procedono a passo controllato. I colori preziosi, le geometrie antiche dei grembiuli, sas antalenas. Il volto custodito da un copricapo di seta ocra, su lionzu, che pare arabeggiante ma che è in realtà così superbamente barbaricino. Assistere al passaggio delle donne di Orgosolo nel loro abito tradizionale, in un giorno di festa, all’uscita di una chiesa o nel corso affollato di una delle città dell’Isola, è una delle esperienze più affascinanti che si possano compiere in Sardegna.

A disegnarne il profilo così austero hanno contribuito nei secoli le abili mani di sas mastras de seda orgolesi, le signore della seta che stagione dopo stagione, per secoli, hanno allevato e selezionato i bachi fino a ottenere una razza, la razza “Orgosolo” appunto, capace di produrre filamenti tendenti al giallo a causa di un enzima della digestione. Il colore, tutt'oggi, viene reso ancor più intenso con l’ausilio dello zafferano.

“La nostra è una tradizione di famiglia”, racconta Maria Corda a Sardegna Live. L’ultima signora della seta è oggi depositaria di un sapere trasmessole dalla madre e dalla nonna, che a loro volta avevano appreso in casa i segreti dell’arte. “Si hanno notizie storiche sull’allevamento dei bachi da seta a Orgosolo già dagli inizi del 1700. Le donne della famiglia di mia madre sono tessitrici e bachicoltrici da circa duecento anni – spiega la signora Corda –. Pochissime donne erano in grado di tessere la seta a Orgosolo, ma la bachicoltura era diffusissima fino a non tanto tempo fa. Ogni orgolese produceva la seta di cui aveva bisogno per confezionare il proprio copricapo: su lionzu. Le donne del paese divenivano bachicoltrici per un anno e portavano da mia nonna la seta già pronta per la tessitura. È per questo che allora riuscivano a confezionare tantissimi copricapi. Mentre io oggi, affiancata da poche collaboratrici, riesco a confezionarne massimo quattro in un anno, nonna nel 1936 ne realizzò ben 98. Allora quello che oggi chiamiamo abito tradizionale si utilizzava quotidianamente, per cui ogni donna doveva avere un lionzu”.

Qual è oggi la quotidianità di una bachicoltrice di Orgosolo? “Oggi continuiamo a confezionare copricapi, anche se rispetto al passato c’è pochissima richiesta. Mia madre e mia zia, fino agli anni ’80, lavoravano continuamente alla realizzazione degli abiti tradizionali. Nella seconda metà del ‘900 la richiesta è andata via via scemando poiché nella quotidianità sono stati dismessi in favore di quelli moderni, finendo per essere utilizzati solo dalle spose il giorno delle nozze. Ormai a Orgosolo ogni famiglia custodisce almeno un abito e dunque in ogni casa c’è almeno un lionzu. Non essendoci esigenza di produrne molti altri, io faccio più che altro lavori di restauro. Anche perché i costi per realizzare un abito ex novo sono davvero molto elevati”.

Come si ottiene la seta? “Il baco, che noi chiamiamo su ‘ermeddu, nasce ai primi di maggio. Per circa cinquanta giorni si nutre esclusivamente di foglie di gelso che noi recuperiamo da un gelseto di famiglia. È uno degli animali che in natura cresce di più (quasi quattromila volte il suo peso). Quando nasce è grande quanto la punta di uno spillo, dopo 40-50 giorni pesa quasi 4 grammi ed è lungo quasi 8 centimetri”.

“Io allevo in casa in delle cassettine di legno che metto una sopra l’altra. Il baco da seta è l’unico insetto addomesticato. Per poter vivere ha bisogno della mano dell’uomo, in natura non esiste più. Ha necessità di una temperatura che va dai 20 ai 22 °C. Mangia dalle cinque alle sei volte al giorno e per questo cresce tantissimo e sporca tantissimo. Le cassette vanno dunque ripulite continuamente, anche perché l’insetto si ammala molto facilmente. Si va avanti fino a giugno, sono due mesi molto intensi nel corso dei quali i bachi richiedono una cura quasi 24 ore su 24”.

E poi? “Arrivati a un certo punto il bruco si rifiuta di mangiare e cerca un posto su cui arrampicarsi per poter confezionare il bozzolo. Si capisce che l’insetto è maturo quando la sua bava, a contatto con l’aria, si trasforma in un filo che non è altro che la seta. A questo punto si costruisce quello che in gergo si chiama “il bosco”. Noi sistemiamo la lavanda selvatica dentro grosse ceste trasferendovi dentro i bruchi. Loro si arrampicano sulle frasche e con questo filo di bava che fuoriesce dalla bocca gettano le loro fondamento chiudendosi dentro un bozzolo”.

Siamo alle fasi finali: “La prima cosa da fare a fine allevamento è favorire la riproduzione scegliendo i bozzoli da cui far nascere maschi e femmine delle farfalle per avere il nostro allevamento il prossimo anno. In genere io formo una quindicina di coppie, a queste si fa compiere l’intero ciclo vitale: diventano crisalidi e farfalle, si accoppiano, le femmine depongono il seme bachi che andrà in una specie di letargo da fine giugno sino alla primavera successiva, quando si ricomincerà con l’allevamento”.

“Dopo aver scelto le coppie devo fermare il ciclo vitale dei restanti bozzoli, altrimenti sfarfallano tutti e dai bozzoli bucati non si ottiene il filo di seta. Per fermare il ciclo le nostre nonne li mettevano in teglia nel forno caldo. Io oggi li metto semplicemente una notte in freezer. Se non si fermasse il ciclo vitale, dovrei lavorare tutti i diecimila bozzoli entro il mese di giugno, dunque in una settimana. Fermandolo, invece, posso lavorare in tranquillità nel corso dell’anno”.

Un po’ di numeri sulla sua attività produttiva? “Quest’anno ho circa diecimila bozzoli dai quali riuscirò a ottenere, dopo un lavoro lungo e certosino, 800 grammi di seta grezza che una volta “pulita” si ridurrà a 700 grammi. Per ogni copricapo servono 200 grammi di seta. È un lavoro che richiede molto tempo, pazienza, abilità e manualità. L’anno scorso per estrarre 600 grammi di seta abbiamo impiegato cinque giorni, lavorando tre-quattro ore al giorno in cinque persone”.

Il laboratorio “Tramas de seda” di Maria Corda è una delle maggiori attrazioni nel centro storico del paese celebre in tutto il mondo per i murales. Alle pendici del Supramonte, le mani dell’ultima mastra de seda preservano un sapere che è veicolo di storia, cultura e identità. “Credo che l’abito tradizionale, in Sardegna, comunichi quanto la lingua. Dalle nostre parti per riconoscere il paese di provenienza delle donne bastava osservare il loro abbigliamento”.

Oggi che blue-jeans e t-shirt hanno sostituito zippones e sahittos, “Noi ci occupiamo di tenere viva un’arte, lavorando principalmente come museo e fattoria didattica”, afferma Maria Corda. “È un orgoglio di famiglia ma è anche parte della storia e della cultura di Orgosolo e della Sardegna”.

Foto Facebook Associazione culturale "Murales" Orgosolo

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