Porto Torres

Altare di Monte d'Accoddi: gioiello del Mediterraneo unico nel suo genere

Edificata nel territorio della Nurra, è testimonianza di antiche civiltà prenuragiche. Un santuario che all'epoca dovette ricoprire un importante ruolo nella società

Altare di Monte d'Accoddi: gioiello del Mediterraneo unico nel suo genere

Di: Giammaria Lavena


Siamo fra il VI e il III millennio a.C., in Sardegna si sviluppano diverse culture la cui continuità si protrarrà sino al Neolitico e all’Eneolitico. Di quel periodo storico nell’Isola sono rimaste alcune tracce, sopravvissute sino ai giorni nostri. Il rinvenimento di officine litiche risalenti al Paleolitico indica la presenza dell'uomo nel suolo sardo già durante il lunghissimo periodo compreso tra i 450.000 e i 10.000 anni fa. Una delle massime espressioni sacre, ancora oggi visibili, della civiltà sarda prenuragica, è rappresentata dall’altare di monte d’Accoddi (dall’arcaico “kodi”, “pietra”), nel territorio di Porto Torres, a nord-ovest dell’Isola. Seppur non vi sia alcuna correlazione, viene spesso associato per via della sua forma ai coevi templi mesopotamici. 

SANTUARIO PRENURAGICO. Questa imponente struttura, scoperta a metà XX secolo, risalirebbe a 5mila anni fa. Inizialmente si pensava si trattasse di un piccolo colle artificiale, in realtà si trattava di un altare a piramide totalmente ricoperto dalla terra. Situato in un’area pianeggiante, è un monumento unico in tutto il Mediterraneo e, secondo una leggenda, fu costruito da un principe-sacerdote fuggito dal Medio Oriente, che lo dedicò alla Luna. Situato ad appena 11 km da Sassari, il santuario prenuragico sorge al centro della sub-regione della Nurra, lungo la vecchia ss 131. L’edificio si sovrappone a una precedente struttura, denominata “Tempio Rosso”, che presenta sulla sommità della terrazza un sacello rettangolare intonacato e dipinto di ocra rossa, del quale si conservano ancora tracce del pavimento e, parzialmente, il muro perimetrale.

Foto: Sergio Melis

ABBANDONO. La struttura arrivata a noi ha sovrastato la più antica intorno al 2.800 a.C., durante la cultura di Abealzu-Filigosa. Occupa 1.600 metri quadri ed è alta quasi sei metri (in origine forse otto), e intorno ad essa i resti di un villaggio, dove sono state rinvenute ceramiche quasi intatte. L’edificio conservò la sua funzione religiosa di “villaggio-santuario” per diversi secoli, finché venne definitivamente abbandonato, così come attestato dal ritrovamento della sepoltura di un bambino, attribuibile alla Cultura di Bonnanaro (1800 a.C). Oggi è possibile ammirare i reperti nel museo archeologico Sanna, a Sassari, insieme a un modello dell’altare nella fase più antica. 

FUNZIONE RELIGIOSA. Nella società di allora, l’altare dovette ricoprire un ruolo fondamentale, al culmine dell’evoluzione di un complesso sviluppatosi dalla seconda metà del IV millennio a.C. Fu edificata nella fase avanzata della cosiddetta “cultura di Ozieri”, nella stessa area in cui si era sviluppato un villaggio connesso ad un'area sacra megalitica. Nella fase del “Tempio Rosso” vari villaggi di capanne quadrangolari facevano capo a un centro cerimoniale, al quale appartenevano una necropoli a domus de Janas e, nelle loro posizioni originali, ai lati del santuario, un menhir a forma allungata (alto quattro metri e mezzo), un’enorme lastra con sette fori (forse per legare le vittime) e massi di pietra sferoidali, uno dei quali di cinque metri di circonferenza.

Foto: Valentino Selis

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