Oliena

Accadde oggi: la strage di Osposidda. Quando Oliena si ribellò ai sequestratori di un compaesano

Dopo il rapimento dell'imprenditore Tonino Caggiari, alcuni compaesani si misero sulle tracce dei banditi individuandoli sulla strada per Orgosolo. Ne nacque un conflitto a fuoco nel corso del quale morirono quattro malviventi e un agente di polizia

Accadde oggi: la strage di Osposidda. Quando Oliena si ribellò ai sequestratori di un compaesano

Di: Pietro Lavena


L’aria gelida di un mattino di gennaio squarciata dal rumore degli spari, le urla, le sirene, l’attesa, la morte. Col conflitto a fuoco di Osposidda si è scritta una delle più drammatiche pagine della storia della lotta al banditismo in Sardegna.

Era il 18 gennaio 1985 quando in quell’area impervia fra i territori di Orgosolo e Oliena, i sequestratori di un imprenditore olianese furono intercettati dai compaesani della vittima e dalle forze dell’ordine e tutti insieme divennero protagonisti di una giornata da incubo.

OSPOSIDDA. Osposidda è una remota località dell'agro di Orgosolo balzata alle cronache già nel 1967. Il 17 giugno di quell’anno, infatti, in quella stessa area il bandito spagnolo Miguel Atienza, complice di Graziano Mesina, venne ucciso in un conflitto a fuoco dai baschi blu in campo per acciuffare Gratzianeddu. Quasi 20 anni dopo, la medesima valle raccoglierà il sangue di quattro latitanti e un poliziotto uccisi e due carabinieri, due agenti di polizia e un civile feriti. Fra quei cespugli di macchia mediterranea rimarranno migliaia di bossoli esplosi e i resti delle bombe a mano lanciate in quattro interminabili ore di un combattimento che vedrà centinaia di uomini coinvolti tra poliziotti, carabinieri e volontari olianesi contrapposti al commando di malviventi.

IL SEQUESTRO. Attorno alle 17:30 del 17 gennaio 1985, l'imprenditore olianese Tonino Caggiari viene rapito e trasportato fuori dal paese a bordo di una Fiat 128. A dare l’allarme è il compaesano Tonino Corrias, che lavora come magazziniere ed è stato legato dai rapitori. Una vicina di Caggiari, resasi conto dell’accaduto, chiama la polizia mentre alcuni compaesani si lanciano all'inseguimento della macchina diretta verso Orgosolo. La Questura di Nuoro, raccolta la denuncia, fa scattare tempestivamente il piano antisequestri: non c’è tempo da perdere, le prime ore sono fondamentali per cercare di individuare i rapitori.

C'è un imponente dispiegamento di forze, col territorio disseminato di posti di blocco. I volontari olianesi, profondamente colpiti dal dramma dello stimato compaesano sequestrato, collaborano fattivamente e, individuata in località Osposidda l’area dove si sono fermati i banditi, la indicano ai marescialli Serra e Pilia.

LE RICERCHE. L’indomani, il 18 gennaio, verso le ore 14:30, vengono scovate alcune tracce attribuite ai rapitori in fuga con l’ostaggio. Gli investigatori seguono le orme e i segni del passaggio del gruppo di fuggiaschi fino a giungere nei pressi di un canalone ricco di vegetazione da cui odono colpi di arma da fuoco che la banda sta sparando contro un gruppo di civili impegnati contemporaneamente nella ricerca di Caggiari. Proprio i civili, infatti, intercettano per primi l’imprenditore, rilasciato incolume dai sequestratori in difficoltà, conducendolo presso la caserma dei carabinieri di Oliena.

IL CONFLITTO A FUOCO. Una volta liberato Caggiari, i banditi sono costretti a scontrarsi con la polizia. Nel tentativo di raggiungere il versante opposto del Supramonte rispetto alla loro posizione, lanciano contro agenti e militari una bomba a mano. Nel primo scontro muore il latitante Giuseppe Mesina. Anche il sovrintendente di polizia Vincenzo Marongiu ingaggia un conflitto a fuoco con i banditi, rimanendo ucciso – unica vittima fra le forze dell’ordine – da due fucilate al petto. Mauro Torti (comandante della squadra cinofili di Nuoro) e il carabiniere Carmelo Mureddu rimangono feriti in quelle fasi.

Il maresciallo Serra, abbandonata la sua postazione, nota la canna di un fucile che spunta da un cespuglio pronta a sparargli e riesce a spostarla rocambolescamente esplodendo dei colpi verso il cespuglio insieme all'agente Daniele Ladu. Così restano uccisi i due latitanti Giovanni Corraine e Salvatore Fais. Mentre il maresciallo Serra rimane ferito non gravemente, l'ultimo bandito rimasto vivo, Niccolò Floris, ferisce l'agente Ladu ad una gamba. Circondato dagli agenti, viene ucciso dopo averne ignorato i richiami e l’invito ad arrendersi e deporre le armi.

LE POLEMICHE. Quando la battaglia finisce, i cadaveri dei banditi vengono caricati su alcuni camion scortati dalla polizia e trasportati via a sirene spiegate. Seguiranno accese polemiche, perché molti interpreteranno il fatto come un'ostentazione dei cadaveri come trofei. In Sardegna, infatti, dopo le battute di caccia è uso comune attraversare le vie dei paesi con colpi di clacson e le carcasse in vista.

MUSICA. Il drammatico evento ha ispirato la canzone Osposidda, musicata da Piero Marras e scritta da Paolo Pillonca, della quale segue il testo.

 

OSPOSIDDA

Allumadas de fogu

chimbe carenas fritas:

tintu a ruju an su logu

in oras malaitas.

Ballas graes at rutu

in sas frunzas d’armidda.

Chie bos faghet lutu

mortos de Osposidda?

 

A sa tzega sas armas

fiores an brujadu:

sun negadas sas parmas

a su malefadadu.

S’istudat in su putu

un’urtima ischintidda:

chie bos fachet lutu

mortos de Osposidda?

 

Sonende bos passizan

finas in s’istradone:

omines assimizan

a peddes de sirbone.

Sa pietade at sutu

ranchida sa mamidda:

chie bos fachet lutu

mortos de Osposidda?

 

Ti essit dae su coro

su sambene caente:

mancu medaglia ’e oro

t’hana dadu, Pitzente.

Pianghene a sucutu

pitzinnos e pobidda:

chie bos faghet lutu

mortos de Osposidda?

 

Cantu tempus ancora

b’hat a cherrer, o frade,

pro chi nd’essamus fora

de sa barbaridade

e no canten su mutu

sas feminas de idda?

Chie bos fachet lutu

mortos de Osposidda?

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