In Sardegna

Maria Cristina Deidda, Terapia del Dolore: “Così aiutiamo la gente che soffre”

Sono tantissimi i pazienti che si rivolgono presso la struttura del San Giovanni di Dio - Cagliari, (Azienda Ospedaliera Universitaria), per cercare aiuto e alleviare sofferenza e dolore cronico

Maria Cristina Deidda, Terapia del Dolore: “Così aiutiamo la gente che soffre”

Di: Alessandro Congia


La Dottoressa ssa Maria Cristina Deidda è un medico palliativista, referente del Day Service di Cure Palliative e Terapia del Dolore, c/o l’Ospedale San Giovanni di Dio, diretto dal Professor Gabriele Finco, Direttore della SC di Anestesia e Rianimazione, AOU Cagliari. Sardegna Live ha voluto intervistare il medico per comprendere meglio questa tematica legata ai dolori di diverse patologie.(A.C.)

- Dottoressa, buongiorno e grazie. Definiamo innanzitutto il dolore

Buongiorno a voi, il nostro  Ambulatorio si occupa di curare e dare sollievo al dolore. Il dolore può essere definito come una esperienza sensoriale ed emozionale soggettiva, spiacevole, associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno. Afferiscono al nostro ambulatorio i pazienti affetti da dolore neoplastico, che necessitano di cure palliative per i tanti sintomi che si accompagnano o meno al dolore stesso, e i pazienti con dolore cronico benigno, per la maggiore affetti da algie della colonna e articolari, fibromialgia, dolore neuropatico di varia natura. Le dimensioni del fenomeno dolore in Italia sono enormi: un italiano su quattro soffre di dolore cronico; circa la metà ha meno di cinquant’anni, un quinto soffre da oltre vent’anni; un terzo ha dolore in modo continuativo e, per questo, ha dovuto abbandonare il lavoro. Sebbene la legge n. 38 abbia sancito il diritto di non soffrire e di poter accedere alla terapia del dolore e alle cure palliative per tutti i cittadini malati, a tutt’oggi nel nostro Paese il dolore cronico è ancora sottovalutato e troppo spesso non adeguatamente trattato.

- Cos’è la terapia del dolore?

La terapia del dolore comprende tutte le strategie, farmacologiche, interventistiche e invasive, che possono alleviare o risolvere il dolore, neoplastico o benigno che sia. Abbiamo molte armi: la terapia farmacologica  con i farmaci così detti adiuvanti, oppioidi minori, oppioidi maggiori, la rotazione degli oppioidi, fino alle tecniche più invasive come le infiltrazioni dei plessi e nervi, blocchi di gangli, anestesie peridurali, cordotomia ecc. Ma non solo, poiché soprattutto nel dolore cronico, è evidente la componente psichica, si possono utilizzare molteplici tecniche in grado di rilassare profondamente il paziente, eliminare la componente ansiosa e la depressione che spesso accompagna il dolore cronico, agendo lì dove il farmaco da solo è inefficace. Tra queste tecniche noi stessi usiamo, la musicoterapia, aromaterapia, cromoterapia (spesso associati insieme per l’azione sinergica a livello della corteccia cerebrale tecnica alla base delle Snoezelen o stanze multisensoriali olandesi), la psicoterapia con esercizi di rilassamento profondo e l’ipnoterapia antalgica, la riflessologia plantare e l’osteopatia.

- Dottoressa Deidda, Lei a microfoni spenti ci ha parlato di quanto sia fondamentale instaurare col paziente una fiducia reciproca, alla base dei rimedi non solo le medicine e le terapie prescritte ma anche e soprattutto una buona ‘dose’ di dialogo, di comunicazione. Cosa intende?

Parlo di ciò che finalmente anche la medicina considera essenziale: la relazione medico-paziente. Il tempo di ascolto è infatti ritenuto di per se, come tempo di cura. Se si sviluppa quell’elemento essenziale, nella relazione medico-paziente, che è l’empatia, il paziente si sentirà ascoltato, riconosciuto, “visto” e sarà pertanto più aderente alla terapia stessa, con migliori risultati.

- Terapia del dolore, alleviare le sofferenze di giovani e meno giovani. Da quanto tempo Lei esercita in questo settore così delicato e quali sono i mali peggiori che i affliggono i pazienti?

Il Day service è aperto al San Giovanni di Dio da sette anni, ma io nasco come oncologa al Policlinico, pertanto mi sono occupata di dolore neoplastico per molti anni. I dolori fisici che più frequentemente cerchiamo di contenere e supportare, sono legati alle neoplasie avanzate, spesso terminali, che nel paziente si accompagnano al dolore psichico per la precarietà della loro salute e del proprio futuro. Un dolore fisico ed emozionale insieme, spesso straripante, che definiamo come Dolore Totale. E qui non bastano i soli farmaci.

- Al San Giovanni di Dio, struttura d’eccellenza, si recano tantissimi pazienti che ripongono nella terapia antalgica e cure palliative un rimedio necessario. Ci racconta qualche esempio che Le è rimasto particolarmente impresso in tutti questi anni in cui lei ha esercitato?

Si, certo. Ricordo bene uno dei primi pazienti all’apertura. Un paziente affetto oncologico con pochi mesi di vita che, non dovendo fare la chemioterapia, aveva scelto le cure palliative esclusive. Insieme abbiamo costruito una terapia di supporto personalizzata a contenere tutti i suoi sintomi, a migliorare la sua vita residua e nel frattempo quei pochi mesi si sono dilatati in ben 15 buoni mesi. Tanto tempo in più che mi ha permesso di parlare con il paziente e con la moglie che lo supportava, la sua care-giver, di accompagnamento alla morte, di prepararli dolcemente al distacco. Di insegnare come parlare, massaggiare il corpo stanco e creare nuovi dialoghi con quei gesti. Che consolassero  entrambi. E anche me. Perché quando non si può più curare, si può prendersi cura di un paziente. Fino alla fine.    

- Cosa si sente di consigliare a chi per la prima volta vorrebbe provare la terapia del dolore per cercare di avere una vita quotidiana più serena e tranquilla?

Ricordo che è un diritto di ogni cittadino poter accedere ad un ambulatorio per la terapia del dolore o le cure palliative, diritto sancito dalla Legge 38 del 15 Marzo 2010. Il dolore cronico è un dolore “inutile” che priva della qualità della vita e della dignità della persona. Pertanto suggerisco di consultare il centro più vicino alla propria residenza e non sopportare più quella che è una vera e propria malattia e non solo un sintomo.

- Il suo ambulatorio ‘colorato’ con tanto di scritte e frasi piene di positività lascia increduli e allo stesso tempo carichi di energia tanti malati, perché ha scelto di “addobbare” in questo modo un luogo spesso ricordato come triste e infelice?

Gli ambulatori sono stati realizzati sulla base della cromoterapia. Il colore e la musica che mettiamo nelle stanze della terapia, fa parte di quella accoglienza degli ambienti che è particolarmente ricercata nelle cure palliative, sul principio delle stanze multisensoriali olandesi, e sul principio enunciato dal maestro italiano delle cure palliative, Prof. Vittorio Ventafridda, secondo cui le cure palliative sono al 50% medicina, al 50% altro. E su questo altro che noi abbiamo programmato gli ambienti e l’accoglienza. Oggi la chiamano semplicemente umanizzazione delle cure.   

- Oggi la sanità sarda e non solo è purtroppo “afflitta” da diverse problematiche, tra le questioni irrisolte purtroppo quella dei “pochi medici con centinaia di pazienti”. Secondo Lei cosa c’è di urgente da risolvere? Cosa può fare la Direzione Sanitaria di un presidio per arginare questo disagio?

Io credo fermamente, più che nella quantità, nella qualità. Punterei sulla maggior umanizzazione dei servizi e delle cure. Un paziente più ascoltato e “visto” è un paziente più sereno e “paziente” insomma. Punterei nella cura della comunicazione con il paziente stesso. Personalmente mi è capitato di dovere far attendere anche a lungo dei pazienti, perché impegnata in urgenze o visite che avevano richiesto più tempo del previsto, ma quando mi sono soffermata a spiegare il motivo del ritardo, con calma e gentilezza, sono stata accolta da comprensione e maggiore pazienza. E sono sempre stati pochi minuti spesi bene. Dobbiamo riprendere il dialogo interrotto tra operatori sanitari e utenti, recuperando la fiducia che manca un poco nei nostri confronti. Nella nostra Azienda vi è, da diversi anni, una ricerca di comunicazione e umanizzazione dei servizi. Al supporto dei pazienti più fragili tramite la figura dei volontari, accoglienza al PS, realizzazione di momenti ludici e artistici, come i concerti e le attività similari dedicate ai pazienti e loro familiari.  E per esperienza personale, posso dire che il paziente vuole essere essenzialmente ascoltato, e già questa azione è di per se terapeutica. 

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