Cagliari

Anna Mattarocci: una fashion designer nel cuore di Cagliari

Conosciuta oltremare nelle passerelle dell'alta moda, prossima protagonista dell'evento Looking For Fashion

Anna Mattarocci: una fashion designer nel cuore di Cagliari

Di: Francesca Melis


Musica in sottofondo, il suo fedele cane Vivienne che le tiene compagnia, lei concentratissima davanti alla macchina da cucire, da cui uscirà una nuova e originale creazione. Lei è Anna Mattarocci, cagliaritana doc e fashion designer apprezzatissima nelle sfilate di alta moda. Ci accoglie nel suo studio al centro di Cagliari: pareti colorate, stoffe ovunque, schizzi e disegni che raccontano le sue collezioni.

Chi è Anna Mattarocci?

Sono sicuramente una persona schietta, testarda e intraprendente. Amo comunicare con gli altri e mi piace ascoltare le persone che si raccontano. Sono sempre pronta a tendere la mano al prossimo, ma questo forse perché in realtà sono una mancata educatrice. La comunicazione nel mio lavoro è fondamentale. Nasco come stilista, ma oggi sono anche docente e supervisore in una scuola a Cagliari e ai miei allievi amo comunicare sia la passione che la didattica per questo lavoro e spiegar loro “il dietro le quinte” di questo mondo fino ad arrivare allo sviluppo della collezione vera e propria. Con loro fungo un po’ da seconda mamma, cerco di essere protettiva ma giusta e amo conservare con loro un rapporto che duri nel tempo.

Quando hai scelto di diventare una stilista?

Quando dovevo iscrivermi alle superiori, i miei genitori decisero di non farmi intraprendere il percorso artistico, che io tanto avrei voluto fare, perché all’epoca era troppo oneroso per noi. Io ci tenevo tantissimo a frequentare quella scuola, però purtroppo non è stato possibile. L’idea di non diplomarmi non esisteva proprio, così mi iscrissi in un istituto socio pedagogico. Nonostante fossi soddisfatta del mio percorso, in realtà la passione per la moda non era svanita. Ho avuto la fortuna di avere una mamma sarta e mi sono sempre ritrovata a curiosare nel suo piccolo laboratorio, frugavo i tessuti e provavo a cucire qualcosa. Da lì sono partita senza più fermarmi.

Parlaci del tuo percorso professionale.

Ci è voluto un po’ prima che nascesse Anna Mattarocci. Ho inizia con un corso sulla lavorazione di pelle e pellicce in modo artigianale. Oggi, però, in tutte le mie collezioni utilizzo la similpelle, una scelta etica visto che sono un’animalista convinta, ma il tipo di lavorazione è identico a quello della pelle. La gavetta nella sartoria di mamma è stata fondamentale, sia per imparare la professione sia per smussare il mio carattere: da ragazza ero abbastanza chiusa e poco comunicativa. Quindi accostavo al lavoro in sartoria l’aggiornamento professionale frequentando dei corsi di cucito basici. C’è stato anche un periodo in cui mi sono centrata sugli abiti maschili. Finalmente poi mi decisi a frequentare una scuola importante a Milano, dove dopo 3 anni ho preso il diploma come fashion designer. Quando ho dato l’esame, gli esaminatori hanno notato quel qualcosa in più sulla modellistica, che mi ha portato a prendere anche un diploma come modellista sartoriale industriale e teatrale. Studio che ad oggi riporto e ripropongo nei dettagli delle mie collezioni, ma non è una cosa forzata, innaturale, al contrario mi viene naturale. Questi particolari sono il mio bigliettino da visita e contraddistinguono il mio stile.

Qual è la tua palette ideale?

Nelle mie collezioni predomina sicuramente il nero. E ti dico anche perché. La mia passione per il nero nasce nel 1985, quando arriva in Italia lo stile dark. Una mia amica che viveva e ancora oggi vive a Londra, mi mandava l’abbigliamento dark che si usava a Londra per usarlo qui e io mi sentivo una stra figa rispetto ai miei coetanei. Io amavo e ascoltavo la musica rock, Robert Smith era il mio mito, potermi vestire come lui era sempre stato il mio sogno. Il mio essere un po’ trasgressiva per l’epoca mi aveva fatto capire che era ora che si iniziasse a parlare di me.

Che cosa scaturisce in te quando devi creare una collezione? C’è un ambiente che prediligi quando devi progettare? Qualcosa o qualcuno a cui ti ispiri?

La maggior parte delle volte la mia ispirazione viene o dalle divise militari o dal punk rock, che io definisco chic, perché il mio non è esagerato. Per quanto riguarda le idee, purtroppo o per fortuna, le ho in ogni momento e questo spesso mi spaventa! Le idee mi vengono anche quando faccio una semplice passeggiata, magari noto un fiore, una panca qualunque cosa e quell’oggetto che per un altro può essere anonimo, in me, invece scatena la fantasia. Per esempio, qualche anno fa, per una serata a cui ero stata invitata, ho creato un abito molto particolare dedicato a Leonardo Da Vinci, che è una delle mie passioni. L’idea per questo abito mi è venuta dalla sigla finale di un documentario che io guardavo su Sky. È apparsa un’immagine digitale, nella quale io ho visto la parte inferiore di questo abito, ispirato agli studi sul volo di Leonardo. Mentre, per quanto riguarda l’ambiente io preferisco elaborare nel mio studio, sia in quello che ho a Cagliari, sia in quello più piccolo che ho ricavato a casa mia. Viaggio comunque sempre con il mio taccuino, così che io possa subito buttare giù l’idea appena mi viene.

Ti ricordi il primo abito che hai confezionato?

Se non sbaglio avevo circa 20 anni e mentre frequentavo i corsi per diventare stilista, bazzicavo sempre nella sartoria di mia mamma. Mamma aveva una cliente che faceva parte della Cagliari bene. Una bella donna, importante all’epoca e anche abbastanza esigente. Io ero attratta dalla sua esuberanza. Mi sono sempre piaciute le donne esuberanti, egocentriche vistose, ma non trash. Lei mi aveva colpito subito. Una volta alla settimana veniva da mia mamma per farsi confezionare un vestito per le serate importanti a cui partecipava. Mi ricordo che doveva presenziare ad un cocktail con un ambasciatore di non ricordo quale nazione. Mi chiese di confezionarle un abito rosso fuoco, ma non aveva idea di come lo volesse. Così, a me era venuto in mente che per questa donna esuberante, potesse andare bene un abito che ricordasse la Marilyn Monroe degli anni ’50. Ho disegnato un abito con un bustino strettissimo, steccato accompagnato da una gonna sobria ed elegante con lunghezza al ginocchio e, un fiocco enorme che partiva da davanti fino ad arrivare alla schiena, irrigidito con la crinolina. Sembrava una bomboniera! Ma lei rimase contenta ed era entusiasta del suo abito che piacque anche alle sue amiche.

Come descriveresti tu la donna simbolo di Anna Mattarocci?

La donna simbolo di Anna Mattarocci è sicuramente una donna molto coraggiosa. Una donna che vuole far parlare di sé e non ama passare inosservata. Una donna egocentrica, ma moderata.

Che cosa significa essere oggi imprenditori di sé stessi in Italia?

È abbastanza difficile, poi per noi in Sardegna lo è ancora di più. Il mondo della moda fortunatamente non conosce mai questa grande crisi. I mercati hanno subito dei cali, però rispetto ad altri settori è, per fortuna, un settore che riesce a vivere bene.

Tu pensi che la Sardegna sia un limite per la tua professione?

Per quanto riguarda l’exploit di un’artista non è facile, perché comunque viviamo in un’isola abbastanza lontana dal resto dell’Italia. La nostra fortuna è che siamo un popolo sveglio, intuitivo, ma credo che con le idee siamo ancora troppo ancorati al passato. Siamo molto radicati a quelle che sono le nostre origini, la nostra tradizione. Adoro la mia terra, la amo, però per quanto riguarda il mio lavoro è difficile emergere da qui. Forse il nostro è punto debole è il limite geografico.

Quindi secondo te che cosa manca in Sardegna?

Non ci manca niente perché noi abbiamo proprio tutto. Per quanto riguarda la moda forse qualcosa piano piano si sta muovendo concretamente, infatti, la Confartigianato Sardegna in collaborazione con la Confartigianato Italia è riuscita a muovere i primi passi per il nostro settore. Anche se ancora c’è tanto da fare. I talenti in Sardegna non mancano, però io consiglio loro, se vogliono realmente fare questo lavoro, prima di farsi le ossa fuori dall’isola e poi di rientrare e costruire qui.

Qual è l’aspetto del tuo lavoro che più ti piace e quello che, se c’è, più invece detesti?

L’aspetto che più mi piace è creare, dare libero sfogo alla mia fantasia. Quando io credo sto benissimo e non mi accorgo neanche che la giornata è finita. La cosa che più detesto è quando sento le persone che fanno questo lavoro parlare non con entusiasmo, ma dando tutto per scontato.

Perché è importante comunicare la moda e con la moda?

Diciamo che la moda forse è uno dei modi di comunicare più efficaci e più antichi che esistano. L’impatto visivo è il primo approccio con l’altro e, infatti, a parlare per primo è proprio l’abito, che spesso svela il carattere sia di chi lo crea, ma anche di chi lo indossa. Oppure c’è quel particolare che ti ricorda subito lo stile di chi lo ha creato e l’immagine richiama in automatico il nome dello stilista.

Il tuo moto?

“Sii te stessa ma osa.”

Progetti futuri?

Progetti futuri ne abbiamo tantissimi, tra cui uno molto importante che mi vedrà a settembre a Milano in una vetrina internazionale, ma per ora preferisco non svelare nulla.

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