Venezia

Il caso sulla morte della Poliziotta Sissy Trovato Mazza

Spunta una lettera che avvalora la tesi per cui la ragazza non si sarebbe suicidata

Il caso sulla morte della Poliziotta Sissy Trovato Mazza

Di: Redazione Sardegna Live


Sissy Trovato Mazza aveva 28 anni, quando venne trovata agonizzante nell’ascensore dell’ospedale Santissimi Giovanni e Paolo di Venezia, con una ferita alla testa il 1 novembre del 2016. Era un’agente della polizia penitenziaria, di origine calabrese, in servizio nel carcere femminile a Venezia. E’ morta il 12 gennaio scorso, dopo 2 anni di agonia.

Inizialmente si era pensato fosse stata lei stessa a spararsi, ma la famiglia non ha mai creduto a questa possibilità, e successive indagini hanno poi portato alla tesi dell'aggressione da parte di terzi, orientandosi sull’ipotesi di omicidio. Prima di venire colpita da quel proiettile Sissy aveva ingaggiato una vera e propria battaglia contro gli abusi in carcere. Sissy era in servizio all'istituto di pena femminile della Giudecca di Venezia. Proprio tale scenario, che fa da sfondo alla tragedia è stato oggetto di inchieste giornalistiche e servizi televisivi.

Dopo la morte di Sissy, si è riparlato molto del fatto che la giovane poliziotta avesse scoperto che nel carcere femminile della Giudecca avvenivano «fatti gravi che riguardano le mie colleghe», e lo avrebbe anche scritto in una lettera mai inviata alla direttrice del carcere, scritta in stampatello, e ritrovata dal padre Salvatore Trovato Mazza in un cassetto in casa.

Nel foglio vergato a mano e indirizzato alla direzione del penitenziario si leggerebbe: “La sottoscritta informa che negli ultimi giorni sono stata avvicinata da molte detenute che hanno raccontato fatti gravi che riguardano le mie colleghe. Essendo la cosa molto delicata, ho cercato di evitare di ascoltarle e ho riferito tutto subito all’ispettore”.

Il sito Fanpage, lunedì aveva dato la notizia della lettera, e ha raccolto la testimonianza di una ex detenuta, che ha raccontato come la giovane avesse intercettato della cocaina in carcere, che arrivava in lavanderia e poi veniva nascosta nella plafoniera di una stanza, evitando così i cani anti-droga. «Temo che quel giorno Sissy sia stata vittima di un tentativo di intimidazione finito male», si è lasciata sfuggire la donna.

Il gip lo scorso giovedì ha incaricato i periti di esaminare il dna trovato sulla pistola che Sissy aveva con sé quando era stata trovata in un lago di sangue,  visto che stranamente non c’erano impronte digitali, nemmeno della poliziotta.  Acquisiti anche i tabulati delle celle telefoniche dell’ospedale, per verificare la presenza di numeri sospetti, e il computer portatile di Sissy, che lei stava usando nei giorni della tragedia (aveva scritto a un’amica che era «piantato»), ma che era arrivato alla famiglia formattato.

Sul Corriere della Sera si legge che “la giovane avesse scoperto che nel carcere femminile della Giudecca avvenivano fatti gravi che riguardavano le sue colleghe, come avrebbe anche scritto nella lettera indirizzata alla direttrice: voci hanno parlato di spaccio di droga, di festini con cellulari, di baci tra agenti e detenute”. Tutti fatti che dovranno essere verificati.

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