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L’11 settembre 2001 vennero colpiti due luoghi-simbolo del potere americano: le torri gemelle del World Trade Center a New York e il Pentagono a Washington. L’effetto dell’attentato è stato amplificato dalla natura particolarmente spietata degli attacchi: più di 3000 civili rimasero uccisi. Oggi, a distanza di 12 anni dall’accaduto, tutto il mondo rivede quelle drammatiche immagini entrate ormai a far parte del nostro immaginario collettivo. Ma cos’hanno rappresentato questi eventi negli equilibri delle relazioni internazionali e nell’intero panorama mondiale?
Conseguenze In un primo momento vi fu una forte ondata di solidarietà verso gli Stati Uniti, accompagnata dalla disponibilità a cooperare nella lotta al terrorismo. La prima reazione, ovvero l’invasione dell’Afghanistan, fu ampiamente giustificata e trovò un vasto sostegno nell’opinione pubblica. La priorità della lotta ai terroristi legittimò gli USA a rivendicare un ampio diritto di effettuare degli atti unilaterali e preventivi contro altri stati. Questo rafforzò il progetto dei neoconservatori che avevano l’obiettivo di mantenere il primato americano.
Paura dell’Occidente Gli USA hanno subito un grosso trauma collettivo. L’insicurezza si è trasformata in forte tendenza moralista degli Stati uniti in politica estera, attraverso una retorica basata sulla distinzione tra civiltà e barbarie. L’invasione dell’Iraq, inizialmente giustificata per il presunto possesso da parte di Saddam Hussein di armi di distruzione di massa, in un secondo momento venne legittimata in base all’obiettivo di eliminare un regime brutale. Col tempo si evidenziarono le contraddizioni dell’intervento militare. I limiti delle informative dei servizi segreti usate per giustificare l’attacco, sollevarono dei grossi punti di domanda sull’intera strategia dell’intervento preventivo.
L’altra faccia della medaglia L’idea che gli USA rivendicassero il diritto di sostituire qualunque regime malvagio che non fosse di loro gradimento ha violato del tutto gli accordi post coloniali relativi alle istituzioni della sovranità e del non intervento, sostituendoli con l’imposizione di uno “standard di civiltà”. Ma un popolo estraneo ad un modello di libertà, digiuno di idee e valori dovrebbe essere nutrito gradualmente col pane della democrazia. I soldati americani non sempre hanno mostrato sensibilità nei confronti della popolazione irachena, come nel caso delle terribili torture fatte nella prigione di Abu Ghraib durante gli interrogatori politici. In questo giorno ricordato come la sconfitta dell’Occidente, bisognerebbe riflettere su ciò che forse rappresenta il vero fallimento delle forze occidentali: non aver rispettato quei principi etici di libertà, uguaglianza e diritto dell’uomo di cui da sempre si fanno portatrici. In Iraq l’eredità del conflitto, la sconfitta di Saddam, non ha messo fine alla secolare ostilità tra sciiti e sunniti. Dieci anni di violenze inaudite, distruzione ed attacchi continui hanno portato alla desolazione. Un destino che ora sembra essersi riversato sulla Siria.