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L’uomo vittima di se stesso: sembra essere questa la sorte della condizione umana che l’individuo non riesce a scrollarsi di dosso. Neppure dopo millenni di vita. Homo homini lupus, “l’uomo è un lupo per l’uomo”, recita un vecchio adagio latino. Che però è ancora attuale, purtroppo. La civiltà e il progresso non sono ancora riusciti né a eliminare né, sembra a volte, a lenire i tratti di una malvagità che continua a essere una componente sinistra che anche quando non compare è sempre lì in agguato. E così, quando le crudeltà più efferate vedono l’uomo protagonista, l'impressione è che tutto debba ricominciare daccapo.
Dunque, nulla o quasi è cambiato nel tempo. Democrazia, libertà, ricchezza, benessere e progresso, sembrano smentire la presenza delle tenebre nel cuore dell’uomo. Purtroppo, però, non è così. A parte che tali belle condizioni non si trovano tutte insieme in nessuna parte del mondo, ma persino nei Paesi in cui esse pure hanno un più rilevante spessore, serpeggia sempre ed esplode con incontrollabile frequenza il rancore dell’uno verso l’altro, che partendo dall’individuo arriva fino alla collettività, per sfociare, poi, nella conflittualità tra Stati.
Ci sono notizie, di lotte individuali e non, che fanno inorridire, innaturali e devastanti, oggi come ieri. Così come ci sono le bande del crimine che in più rispetto al passato hanno il supporto di una tecnologia usata per “perfezionare” la finalizzazione dei reati, mentre lo scopo delle moderne conquiste dovrebbe essere di ben altro genere. E cosa dire delle minacce nucleari, deleterie di per sé e purtroppo anche tradotte nei fatti, come la storia ci dimostra. Hiroshima e Nagasaki (agosto 1945) sono gli esempi più terrificanti che il mondo abbia mai vissuto. Tutte le nazioni e i loro popoli possono essere distrutti in pochi secondi: basta l’impeto dell’uomo insaziabile per arrivare all’annientamento di tutti.
Ci sono, poi, altre fonti che alimentano la distruzione indirettamente, rispetto a una destinazione industriale ed economica che, se non disciplinata in modo adeguato, diventa un pericolo per un’incalcolabile moltitudine di persone. Pensiamo a Chernobyl, alla diossina di Milano, al disastro ambientale in Puglia o semplicemente a quei siti, solo apparentemente innocui, dove giacciono, ad esempio, i vecchi rottami di vagoni di treni abbandonati che costituiscono motivo d’inquinamento e di danni irreversibili per la salute dell’uomo.
Da un lato, siamo di fronte, dunque, all’individuo che con troppa disinvoltura e imperizia usa il proprio sapere senza avere cura degli aspetti nocivi dei propri comportamenti, quand’ anche siano essi prevalenti sugli stessi effetti positivi di una determinata attività che egli pone in essere. Dall’altro, abbiamo davanti l’uomo senza mediazioni, in possesso di un alito di supremazia devastante nei confronti dei suoi simili. Costui è l’uomo che rinuncia al bello della vita, sua e degli altri, e al fascino della natura in cui vive. Preferisce scenari di guerra, le strade dell’abbrutimento e della distruzione. Le notizie, corredate da immagini strazianti, che arrivano in questi giorni dalla Siria, dove è in corso un accanimento gratuito e devastante verso popolazioni inermi, è l’ ultimo caso orrendo che sta chiamando in causa, proprio in queste ore, la coscienza di tutti i Paesi del mondo.
Esiste una via d’uscita? Chi fermerà la mano violenta dell’uomo? Il rischio, come sempre, è quello per cui l’adozione della forza degli Stati coalizzati per fermare la violazione dei diritto alla vita, sfoci in ulteriori e più vaste tragedie. Le sole ”armi” idonee per sedare i conflitti, capaci di costruire e non di distruggere, sono quelle della diplomazia e della comunione tra i popoli. Non ci sono alternative o scorciatoie. Quanto più il basamento di tutte le relazioni internazionali sarà rappresentato da una forza umanitaria fatta di solidarietà e di partecipazione reciproche, ta