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Contestazioni e urla di disprezzo nei confronti delle istituzioni da parte di gruppi di cittadini all'esterno della chiesa di San Pietro e Paolo a Civitanova Marche, 6 aprile 2013, dove si è celebrato il funerale di Romeo Dionisi, Anna Maria Sopranzi e Giuseppe Sopranzi, suicidatisi ieri. ANSA / CRISTIANO CHIODI
Le morti di Civitanova Marche sono l’ultima testimonianza di un’escalation del dramma di chi non riesce a sopravvivere di fronte alle difficoltà economiche crollategli addosso. Così come in altri momenti simili a questi, le dichiarazioni di dolore dei politici si sprecano, fino a essere inopportune e intrise di profonda e colpevole ipocrisia. Sarebbe meglio tacere. Le reazioni vere sono quelle dei famigliari, degli amici e di una comunità che davanti alle bare delle vittime accusano lo Stato di latitanza e d’inerzia totale sul terreno della protezione sociale dei suoi cittadini. E hanno ragione, perché bisogna bloccare la disperazione delle famiglie e intervenire senza più indugi per la soluzione dei loro problemi, che sono quelli di una società ridotta allo stremo, soprattutto in quegli strati dove il senso della vita scema di giorno in giorno.
Altro che dolore improvvisato e di circostanza dei nostri politici di turno!
Durante le campagne elettorali riconoscono che non si può vivere con 500 euro al mese, che un Paese non può avere 2 giovani su 3 disoccupati, che le tasse strozzano senza appello chi non può pagarle. E poi? Una volta eletti prevalgono soltanto i loro tornaconti. La loro è una politica autarchica, che si sgancia dal popolo subito dopo le consultazioni elettorali, per ritornarci senza percepire il senso di una giustizia sociale non più differibile. “Il popolo ci ha eletto, quindi lo meritiamo”, dicono all’unisono. Non riconoscono mai di essere stati eletti da un corpo elettorale senza possibilità di scelta e cioè obbligato a votarli. Inchiodati su passi falsi, errori, sprechi, ruberie e latitanza, la litania è la solita: “Io non c’ero, e comunque ero in minoranza”. Oppure: “Io c’ero, ma con una maggioranza non abbastanza forte e una minoranza distruttiva”. Oggi siamo ancora senza un governo vero perché alle elezioni non ha vinto nessuno in modo decisivo. E allora che si fa? Semplice per loro, non si governa, non ci sono i numeri. Intanto, si continua a perdere tempo, e a morire.
Di fronte ai lutti, nei politici subentra l’ipocrisia del dolore, della solidarietà fine a se stessa, che non riesce a scuotere chi la manifesta affinché inizi finalmente a concretizzarsi la giusta protezione sociale di cui il Paese ha disperatamente bisogno. I cittadini si sentono traditi da uno Stato che per le esigenze e i problemi da risolvere volta loro le spalle, mentre quando si tratta di chiedere soldi e sacrifici guarda impietosamente tutti in faccia al momento dei prelevamenti fiscali. Un punto, però, va chiarito: lo Stato è esso stesso tradito. Conta senza alternative su una classe politica inadeguata, arrogante e presuntuosa, ma la sua entità ideale e giuridica, che affonda i suoi pilastri nella Costituzione della Repubblica, è intatta, fortunatamente inattaccabile dai politici delle diverse stagioni che pure vorrebbero manometterla e sfigurarla.
Riguardo all’esempio, allo stile, alle azioni e agli scopi legati al mandato assegnato dagli elettori ai loro rappresentanti nelle varie sedi istituzionali, le cronache non ci hanno mai consegnato il caso di un politico nostrano che si sia stracciato le vesti per la causa comune, come quella di chi (sommata ad altre), spogliato di tutto, rinuncia alla vita lasciando tanti colpevoli. Fortunatamente per i cittadini, la decodificazione del linguaggio infido della politica che loro stessi sono già in grado di fare, sta diventando in Italia una cosa possibile. E’ un elemento in più che dà speranze di cambiamento.